Di Khaled Fattah. Your Middle East (29/12/2014). Traduzione e sintesi di Roberta Papaleo.
Mentre il 2014 finisce, lo Yemen continua a desiderare sicurezza e stabilità: i quattro anni della lotta al potere hanno diviso e demoralizzato le sue forze armate e di sicurezza e hanno mandato in rovina la sua fragile economia. Invece di venire ricordato come l’anno della Conferenza di Dialogo Nazionale (NDC), il 2014 rimarrà nella storia dello Yemen come l’anno della perdita della rilevanza dello Stato come centro.
Alla luce dell’attuale debolezza dell’amministrazione politica, lo Stato yemenita apre il nuovo anno senza un centro per le principali decisioni politiche, militari ed economiche. Tenendo a mente che il potere politico in Yemen è sinonimo di potere militare, e che il potere militare è sinonimo di accesso alle risorse del centro, la conseguenza di una prolungata assenza di un centro decisionale potrebbe risultare catastrofico.
La NDC è stata spesso citata da diplomatici e politici regionali e occidentali come modello: inclusiva, di gestione e proprietà locale, legittima. Tuttavia, il clima di violenza e caos post-NDC suggerisce che la Conferenza è stata usata dalle élite locali solo come una “vetrina” per dar sfogo alle frustrazioni, nonché uno strumento strategico per rimandare i conflitti, e non per terminarli. Undici mesi dopo la chiusura ufficiale, la presenza dello Stato yemenita nel Paese si è dissolta, le competizioni elitarie per la torta nazionale si sono fatte feroci e letali, le forze sociali si riparano dietro ai gruppi settari, tribali e regionali. Uno stallo politico pericoloso, senza nessuna svolta significativa all’orizzonte.
Oltre ai nuovi intermediari in Yemen, cioè il movimento Houthi-Ansar Allah (che ha ulteriormente scosso la caleidoscopica politica yemenita con la presa di Sana’a in settembre), lo Stato, incluse le sue istituzioni militari e securitarie, è attualmente controllato da una costellazione di attori non-statali e individui potenti che plasmano le dinamiche politiche quotidiane nelle aeree rurali e tribali con reti informative che possono rapidamente trasformarsi da alleanze a rivalità.
È importante ricordare che le radici dell’attuale turbolenza in Yemen non giacciono su basi settarie. L’antica nazione yemenita non ha quelle nette divisioni che si possono trovare in Iraq e Libano, né un retaggio storico di violenza settaria. Piuttosto, le radici sono nella ricerca del potere politico e dei guadagni materiali, nella tanto negata legittimità delle provincie del Sud e nella distanza psicologica tra l’élite di Sana’a e le comunità locali e rurali disperse per il Paese, che contano il 70% della popolazione. Altre radici possono essere chiaramente individuate nella rete regionale e interazionale degli interessi personali, che culmina in una grezza macchinazione geopolitica.
Lo Yemen costituisce un’immensa sfida per chiunque voglia addentrarsi nel suo complesso groviglio politico e di sicurezza. Il Paese ha bisogno di cambiamenti radicali nel comportamento delle sue élite politiche e di trasformazioni nella cultura politica del suo esercito. A livello strategico, gli sponsor regionali e internazionali, soprattutto USA e Arabia Saudita, devono rendersi conto che un governo centrale che non soddisfa i bisogni di base del popolo non potrà sconfiggere al-Qaeda e nemmeno limitare l’aumentare dei disordini.
Nel 2015, i popoli del Medio Oriente arabo continueranno a cercare una via di mezzo tra l’autocrazia, la democrazia e la teocrazia. La gente dello Yemen, invece, continuerà a cercare un centro.
Khaled Fattah, dottore in Relazioni Internazionali, è specializzato sullo Yemen e sulle relazioni statali-tribali.