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Una rifugiata siriana quattordicenne contro il matrimonio precoce

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Omaima Hoshan
Omaima Hoshan, nel campo profughi di Za’atari, punta il dito contro le disastrose conseguenze fisiche e psicologiche del matrimonio precoce per le giovani ragazze

Di Brenda Stoter. Al-Monitor (22/09/2016). Traduzione e sintesi di Antonia Cascone.

Nel campo profughi di Za’atari in Giordania, nel quale vive dal 2012, Omaima Hoshan, 14 anni, non si è resa conto dell’esistenza del fenomeno del matrimonio precoce fino a che la sua migliore amica ha abbandonato la scuola in quinta elementare. Era la migliore della classe e aveva sempre sognato di diventare una dottoressa: perché smettere di studiare? Omaima seppe poi dall’insegnante che la sua amica aveva sposato il cugino diciottenne, dietro pressione del padre. La ragazza non aveva ancora compiuto tredici anni e Omaima non l’avrebbe mai più rivista.

Da quel giorno, Omaima si è accorta che sempre più ragazze lasciano la scuola a 12, 13 e 14 anni. Si ricorda di aver pensato che fosse una cosa del tutto sbagliata: erano solo bambine, come lei. Ne ha parlato  con suo padre, Thaer Hoshan, che aveva studiato legge in Siria. “Mi disse che avrei dovuto far sentire la mia voce se qualcosa fosse sbagliato, e mi incoraggiò a parlare alle ragazze in merito alla questione, per scoraggiare la pratica”.

Incoraggiata dai genitori e profondamente ispirata dal Premio Nobel per la Pace Malala Yousafzai, Omaima ha cominciato la sua campagna contro il matrimonio precoce. In primo luogo, si è rivolta direttamente alle sue compagne di classe e le ha spronate a parlarne con i propri genitori, e in seguito si è resa promotrice di workshop sui rischi del matrimonio precoce, lavorando insieme a un gruppo incaricato della protezione dell’infanzia gestito da Save the Children.

“Le ragazze che si sposano molto giovani hanno più probabilità di essere vittime di violenza sessuale e domestica, così come di abortire, perché loro corpi in realtà non sono pronti per portare avanti una gravidanza. Inoltre, non sono psicologicamente pronte per educare i figli e, spesso, non possono completare la propria formazione o trovare un lavoro”, ha spiegato Omaima.

Sebbene sia illegale sposarsi prima dei 18 anni in Giordania, la pratica è sempre più comune tra i rifugiati siriani. Nel 2015, il 15% di tutti i matrimoni celebrati in Giordania coinvolgeva un minore, rispetto al 18% del 2012. Il giudice, infatti, può autorizzare un matrimonio che coinvolga un minore fino ai 15 anni, se ritiene che sia nel suo miglior interesse.

Per molti siriani nelle aree urbane e nei campi profughi giordani, il matrimonio precoce costituisce un tentativo disperato di allentare l’onere finanziario che grava sulle famiglie povere, creando un circolo vizioso di povertà. Un altro ruolo molto comune del matrimonio precoce è quello di proteggere le ragazze in luoghi dove sono più facilmente esposte a violenza sessuale e molestie. In ogni caso, la tradizione gioca un ruolo fondamentale, dato che le ragazze in molte zone della Siria si sposano giovani, ha puntualizzato Omaima. “La maggior parte delle persone a Za’atari proviene dalle campagne siriane. Pensano che il matrimonio sia la migliore occasione per una ragazza. I ragazzi di solito si sposano tra i 18 e i 25 anni e tutti loro vogliono una sposa più giovane. A Za’atari, quando una ragazza di vent’anni non è ancora sposata, è considerata già troppo vecchia.”

Omaima ha raccontato che è molto più facile parlare con le ragazze e con le madri piuttosto che con i padri. Quando ha iniziato la sua campagna, qualcuno le ha intimato di badare agli affari suoi, e molti erano a disagio all’idea di una ragazza così giovane che disquisiva di una questione così delicata. Quando le è stato chiesto se si fosse sentita minacciata da qualcuno, Omaima ha risposto che è suo diritto parlare apertamente e porsi obiettivi ambiziosi, proprio come fanno gli uomini. “La mia vita non è più importante della vita di qualsiasi altra ragazza. Se tu potessi salvare una nave piena di gente sacrificando la tua vita, cosa sceglieresti? Io so cosa devo fare”.

Brenda Stoter è una giornalista olandese e un’esperta di Medio Oriente.

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