di Ezzeldeen Abu al-Aish (Yedioth Ahronoth 20/11/2012). Traduzione di Claudia Avolio.
La gente mi ha chiesto in questi giorni se l’attuale situazione abbia riaperto una ferita nel mio cuore. La verità è che quella ferita non si è mai rimarginata, perciò non c’è niente da riaprire. Parlo ogni giorno coi miei fratelli e parenti di Gaza, coi nipoti e gli amici. Quando ci salutiamo, provo la reale paura che non ci parleremo mai più. E’ come se tutti loro stessero facendo una fila, la fila della morte. Nessuno sa chi sarà il prossimo. La gente mi chiede se ho paura. Certo che ho paura. Sono terrorizzato. Sono scioccato e pieno d’orrore, e in questi ultimi giorni sento crescere la mia rabbia, anche se chiunque mi conosca sa che non sono per niente una persona rabbiosa. Trovo difficile credere che, dopo le terribili atrocità della guerra precedente – che certo non ha condotto alla pace, poiché una guerra non può portare pace – altri missili stiano di nuovo cadendo come pioggia dal cielo.
La gente mi ha chiesto se gli ultimi giorni riportano me e i miei ragazzi indietro fino a quel giorno, quando due missili hanno colpito la nostra casa e ucciso le mie tre figlie – Bisan, Mayer e Aya – e mia nipote, Nour. Rispondo che quel giorno è con noi ogni secondo della nostra vita. Il momento prima, quand’erano ancora vive, e il momento dopo, quando le loro teste e le loro mani erano sparpagliate su tutto il letto. E io so che ogni istante che passa in questa guerra, vede altri genitori perdere i loro bellissimi, dolci ed innocenti bambini. Sì, ho paura. Non riesco a dormire. Ma soprattutto: sono arrabbiato. Io lo so che la maggior parte degli israeliani crede davvero che Israele voglia la pace, che stia solo aspettando che i palestinesi tendano le mani in segno di pace. Io sono convinto che molti israeliani vogliano questo con tutto il cuore. Il problema è che la leadership non agisce per niente in questa direzione, ed è responsabilità di ognuno di voi essere più consapevole di ciò che realmente sta accadendo.
La verità è che una parte è controllata fino ai minimi dettagli della propria vita, mentre l’altra parte è libera in tutto e per tutto. Una è occupata, l’altra è un’occupante. Quindi la situazione non è equa, e non dev’esserci confusione su questo. Tutti vogliono discutere di fatti politici su chi sia da condannare e chi ha fatto cosa a chi. Queste non sono questioni davvero rilevanti se discutiamo di guerra e pace. Tutti abbiamo bisogno di pace, siamo tutti orribilmente in pericolo, non solo fisico ma anche mentale e spirituale, e la consapevolezza è la sola cosa che può cambiare questa situazione. La violenza non cambierà nulla. Dopotutto, la pace non è ciò che si raggiunge quando i missili si fermano. Pace è una situazione interna di fiducia, sicurezza, serenità e compassione. Ognuno di noi ha il dovere di pensare in modo indipendente e rifiutare di pensare e parlare in termini di “noi e loro”.
I nostri figli e i loro figli, le nostre vittime e le loro vittime: no. Invece, dobbiamo svegliarci e ricordare che siamo tutti legati l’un l’altro, e lo saremo sempre. Siamo ognuno parte di ciascuno, e sono tutti i nostri figli, i nostri problemi, è la nostra guerra, la nostra tragedia, sono le nostre vittime, il nostro futuro e la nostra pace. Io so che vendetta e violenza vengono sempre dall’oscurità, e che solo il rispetto reciproco, un dialogo tra pari, renderà possibile la vera pace. Io so che la maggior parte delle persone nella nostra regione prega per la pace. Ho sofferto terribili umiliazioni come rifugiato nella mia vita – sì, sono un rifugiato. La mia famiglia aveva terre e case nella linea del 1948, e ora sono di nuovo un rifugiato dopo aver perso le mie amate figlie per i missili di Israele.
Ma ho anche incontrato colleghi e pazienti israeliani dotati di un’incredibile generosità e meravigliosa compassione e pietà. Io non odierò. Qualunque cosa mi accada, sono libero di scegliere la mia reazione interiore. Io chiedo a ognuno di tenere il proprio cuore libero dall’odio e di compiere i passi necessari per porre fine a questa terribile follia subito, prima che il prossimo bambino muoia.
Il dottor Ezzeldeen Abu al-Aish, ex-fisiatra allo Sheba Medical Center di Israele, ha perso le sue tre figlie e la sua nipotina per una granata lanciata dalle Israel Defense Forces che hanno colpito la loro casa a Gaza, nel corso dell’Operation Cast Lead (2008). Oggi vive a Toronto.