Appello del Papa alla comunità internazionale e a tutte le parti coinvolte nel conflitto in Siria
Un appello alla comunità internazionale e a tutte le parti coinvolte nel conflitto in Siria, affinché si eviti il rischio di una «catastrofe umanitaria» a Idlib è stato lanciato da Papa Francesco al termine dell’Angelus di domenica 2 settembre, in piazza San Pietro. Esprimendo il suo «dolore» per i «venti di guerra» che ancora spirano nel paese e per le «notizie inquietanti» giunte nelle ultime ore, il Pontefice ha esortato tutti «ad avvalersi degli strumenti della diplomazia, del dialogo e dei negoziati, nel rispetto del diritto umanitario internazionale», con l’obiettivo prioritario di «salvaguardare le vite dei civili».
In precedenza, commentando il brano evangelico di Marco (7, 1-8.14-15.21-2) che racconta la disputa tra Gesù e gli scribi e i farisei a proposito dell’osservanza dei tradizionale precetti rituali, il Pontefice aveva affrontato il tema dell’«autenticità della nostra obbedienza alla parola di Dio, contro ogni contaminazione mondana o formalismo legalistico».
Per Francesco anche oggi tra i credenti c’è il rischio di ripetere l’errore dei dottori della legge, cadendo nell’ipocrisia che mira a «stravolgere la volontà di Dio» e «trascurando i suoi comandamenti per osservare le tradizioni umane». Il Signore, ha detto, «ci invita a fuggire il pericolo di dare più importanza alla forma che alla sostanza. Ci chiama a riconoscere, sempre di nuovo, quello che è il vero centro dell’esperienza di fede, cioè l’amore di Dio e l’amore del prossimo, purificandola dall’ipocrisia del legalismo e del ritualismo».
Nella sua riflessione il Papa ha citato anche un passo della lettera di san Giacomo, dove l’apostolo afferma che la vera religione è «visitare gli orfani e le vedove nelle sofferenze e non lasciarsi contaminare da questo mondo»: ossia «praticare la carità verso il prossimo a partire dalle persone più bisognose, più fragili, più ai margini». In proposito il Papa ha chiarito che «non lasciarsi contaminare da questo mondo» non vuol dire «isolarsi e chiudersi alla realtà». Non si tratta, infatti, di «un atteggiamento esteriore ma interiore, di sostanza: significa vigilare perché il nostro modo di pensare e di agire non sia inquinato dalla mentalità mondana, ossia dalla vanità, dall’avarizia, dalla superbia».
In realtà, «un uomo o una donna che vive nella vanità, nell’avarizia, nella superbia e nello stesso tempo crede e si fa vedere come religioso e addirittura arriva a condannare gli altri, è un ipocrita». A partire da questa consapevolezza, Francesco ha invitato i fedeli a fare «un esame di coscienza per vedere come accogliamo la parola di Dio», che va ascoltata e interiorizzata «con mente e cuore aperti, come un terreno buono, in modo che sia assimilata e porti frutto nella vita concreta». Gesù, ha ricordato il Pontefice, «dice che la parola di Dio è come il grano, è un seme che deve crescere nelle opere concrete». E così «la parola stessa ci purifica il cuore e le azioni e il nostro rapporto con Dio e con gli altri viene liberato dall’ipocrisia».
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