Libia Zoom

Libia: una spada di Damocle per la regione

Di Sofyane Ayache. Le Matin (02/01/2015). Traduzione e sintesi Carlotta Caldonazzo.

Dopo l’Unione Africana, oggi è la Lega Araba a riunirsi nella sua sede cairota per discutere della situazione della Libia e delle possibili soluzioni. Finora le richieste di intervento internazionale sono state bloccate dal voto contrario dell’Algeria (che ha chiuso le frontiere con la Libia ma si attiene al principio di non ingerenza) e dalle reticenze dell’Egitto. Il Cairo finora ha preferito la strategia attendista, anche se corrono voci su un riavvicinamento tra il presidente Abdel Fattah El Sisi e l’ex generale libico Khalifa Haftar.

Il problema è che tra tutti gli attori impegnati sul caotico campo libico nessuno può attualmente garantire un controllo stabile del territorio. Si tratta di poteri effimeri, siano essi fondati su un risultato uscito dalle urne o su più o meno notevoli conquiste di terreno. La situazione, per certi versi, è simile a quella irachena, o afghana (si potrebbe aggiungere quella balcanica), sia pure con le dovute distinzioni. Nessuna delle parti in causa, al di là della propaganda, riesce a gestire la situazione, prodotta in larga misura dall’ultimo intervento internazionale. Una polveriera instabile che destabilizza un’intera regione.

Il governo libico è ancora in esilio a Tobruk, da quando in agosto la capitale Tripoli è stata conquistata da Fajr Libia, organizzazione integralista islamica dai contorni piuttosto fluidi, i cui miliziani il 25 dicembre hanno incendiato uno dei principali terminali petroliferi del paese dopo averne perso il controllo. Anche a Tobruk la sede del parlamento è stata obiettivo di un attentato a fine dicembre. Il Fezzan (nel Sud) e le oasi del Sahel sono diventate rifugio di diversi gruppi terroristici, come al-Qaeda nel Maghreb Islamico (AQMI), Ansar Dine, El Moulathamoun dell’emiro algerino Mokhtar Belmokhtar, su cui pende una condanna in contumacia a 20 anni di carcere.

La missione delle Nazioni Unite in Libia (UNSMIL) non può che constatare quotidianamente la propria impotenza, al pari delle parti in causa, cui giorni fa ha rivolto un appello al cessate il fuoco e al dialogo invitandole ad “adottare misure coraggiose”. Bisogna vedere come gli organismi sovranazionali interpreteranno quest’ultima espressione. Il G5 del Sahel (Ciad, Mali, Niger, Burkina Faso, Mauritania) ne ha già dato una sua versione, chiedendo un intervento militare internazionale, sotto l’egida di ONU e Unione Africana. Intanto la Francia, in prima linea nell’attacco alla Libia del 2011, tenta di mobilitare la comunità internazionale per intervenire manu militari nel Sud libico.

Recentemente il ministro della Difesa francese Jean-Yves Le Drian è andato in visita ufficiale in Niger (dove la Francia ha una base militare nella regione di Agadez, vicina al confine libico) portando l’invito a “non restare passivi”. Se vuoi la pace, prepara la guerra. Dal 16 febbraio al 9 marzo più di 1200 militari provenienti da venti Paesi (Italia, Belgio, Burkina Faso, Danimarca, Canada, Ciad, Estonia, Francia, Germania, Gran Bretagna, Lituania, Mali, Mauritania, Norvegia, Olanda, Repubblica Ceca, Senegal, Spagna, Svezia, Stati Uniti) parteciperanno all’esercitazione di pronto intervento Flintlock ’15, del Comando delle forze armate USA per l’Africa (AFRICOM). Per l’ambasciatore USA in Ciad è “un esempio perfetto di cooperazione regionale e internazionale” realizzato grazie all’esperienza delle precedenti esercitazioni, condotte dal 2005 “per ridurre il peso e il sostegno delle organizzazioni estremiste violente”. Che le esercitazioni abbiano più successo delle operazioni sul campo.

Sofyane Ayache è collaboratore del sito di informazioni Le Matin.

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