Asharq al-Awsat (10/06/2013). La Libia ha deciso ieri di integrare le milizie armate nel corpo militare dello Stato, dopo una giornata di combattimenti successivi agli scontri avvenuti a Benghazi tra i manifestanti che si oppongono alla presenza dei miliziani e membri della forza “Scudo della Libia” che vengono indirettamente pilotati dal Ministero della Difesa. In Libia ci sono centinaia di miliziani che hanno combattuto le forze del Colonnello Gheddafi fino alla sua morte nell’autunno del 2011 e che hanno continuato a portare le armi, data la debolezza dell’esercito e della polizia. Le autorità hanno preso la decisione ieri di riconoscere la forza “Scudo della Libia” nella quale operano migliaia di militari armati affiliati all’esercito. Fonti del Congresso nazionale libico (l’attuale Parlamento) hanno affermato che la conseguenza sarà la permanenza dei miliziani ma hanno chiarito che questa decisione si è già scontrata con il rifiuto di alcuni tra questi combattenti che non vogliono sottomettersi al governo. Le stesse fonti hanno aggiunto, tramite comunicazione telefonica da Tripoli, che la seduta del Parlamento, prolungata fino al tardo pomeriggio di ieri, ha fatto affiorare divergenze di opinioni tra il Ministero della Difesa e lo Stato Maggiore che indica che gli eventi di Benghazi hanno “scosso la comunità libica e hanno mostrato il pericolo insito nella permanenza dei miliziani”.
Gli abitanti di Benghazi piangono le vittime degli scontri tra cui si contano cinque soldati dell’esercito e almeno 58 feriti, fino a ieri. Il Presidente del Parlamento attuale, il dottor ‘Alì Zaydan, ha deciso di aprire un’indagine su quanto accaduto, e ha insistito sulla necessità di trovare una soluzione al problema della diffusione di armi nel paese e di operare affinché fatti di questo genere non si ripetano. Il Capo di Stato Maggiore, Youssef al Manqoush, ha rassegnato le dimissioni al Parlamento che ha dedicato la sua seduta pomeridiana all’ascolto dei Ministri che si sono confrontati sulla situazione di sicurezza nel paese.
Traduzione di Chiara Cartia
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