Di Sara Hussein. Your Middle East (20/02/2017). Traduzione e sintesi di Roberta Papaleo.
Anche se considerati una branca dell’islam sciita, i drusi non pregano nelle moschee, ma quella di Amir Shakib Arslan nel villaggio di Mukhtara, nel distretto di Shuf, è fatta in modo che i suoi visitatori riflettano su religione e modernità, e sopratutto sulla simbologia della costruzione di una moschea in una località drusa. L’edificio prende il nome dal nonno di Walid Jumblatt, politico libanese a capo della comunità drusa che ha commissionato e finanziato il progetto.
Il suo particolare design è il frutto di una decisione di Jumblatt, che ha dato all’architetto Makram el-Kadi carta bianca per reinterpretare le sembianze di una moschea. Invece del classico tetto a cupola accanto a un minareto, la moschea di Mukhtara presenta una struttura a gabbia con travi in acciaio bianche costruite in modo da appoggiarsi su un pre-esistente edificio tradizionale libanese “come un velo”, come spiegato da Kadi stesso. In uno degli angoli posteriori del tetto, una struttura in lame bianche si slanci verso il cielo in una sorta di torre che ricorda il minareto. La luce e l’aria attraversano queste lame, in contrasto con il colore scuro e pesante della pietra dell’edificio originale sotto di esse. Inoltre, da una certa distanza e da punti ben precisi, tra le lame si possono scorgere due parole: “Allah“, la parola araba per “Dio”, e “al-Insan”, ovvero “essere umano”.
Per Kadi, il progetto è frutto di un processo di reinterpretazione dell’architettura della moschea durato anni: “Non ci sono indicazioni scritte, né nel Corano né negli Hadith (le parole e i fatti del profeta Muhammad) che indichino che aspetto debba avere una moschea”, ha spiegato l’architetto. Tuttavia, nonostante l’assenza di queste linee guida, il design delle moschee è rimasto in gran parte lo stesso nel corso degli anni: “Nonostante il gran numero di giovani tra i fedeli musulmani, non si vede molta sperimentazione nell’architettura delle moschee”, ha aggiunto Kadi.
All’interno, le pareti della moschea di Mukhtara sono spogli e binachi, illuminai dal sole attraverso un lucernario che si apre nella volta del tetto. In fondo alla sala, dove di solito vengono conservati i testi religiosi, la parola “Iqra”, (cioè “Leggi”) appare in un’ingraticciatura di legno, in riferimento alla prima parola del Corano e al fatto che i fedeli hanno l’obbligo di leggere, non solo di recitare, come ricorda Kadi. Il pavimento della sala è coperto da un tappeto con un motivo in bianco e nero davvero unico nel suo genere: “Si tratta di un nuovo tipo di calligrafia, nel senso che è una rappresentazione astratta del linguaggio parlato”, spiega l’artista Lawrence Abu Hamdan, ideatore di questo tappeto che raffigura le onde sonore di una recitazione coranica.
In mezzo a tanta innovazione, alcuni elementi sono stati lasciati alla tradizione, come la qibla, cioè la direzione della preghiera verso la Mecca, e anche l’adhan, la chiamata alla preghiera.
Per Jumblatt, lo scopo del progetto era duplice: enfatizzare i legami tra il culto druso e le altre ramificazioni dell’islam, ma anche promuovere la tolleranza religiosa. Il Libano porta ancora i segni della guerra civile, durante la quale tutte le fazioni hanno commesso e subito abusi; oggi il Paese soffre le ripercussioni della guerra nella vicina Siria. “Credo che il messaggio che dobbiamo ripetere ancora e ancora è che il Libano è un luogo di diversità e coesistenza. Il Libano può sopravvivere solo attraverso la diversità”.
Kadi vede nella moschea un “atto di unione” tra le diverse branche dell’islam in un momento in cui “certi gesti sono davvero rari”. “Il fatto che sia fatta in questo modo e in questo momento, manda un messaggio forte: esiste un’alternativa, si può essere religiosi e fedeli senza per forza essere di strette vedute”.
Sara Hussein è corrispondente di AFP in Medio Oriente che scrive di Libano e Siria.
I punti di vista e le opinioni espressi in questa pubblicazione sono di esclusiva responsabilità degli autori e non riflettono necessariamente il punto di vista di Arabpress.eu