Abderrahmane Mebtoul-Gilles Bonafi – Le Matin dz (18/05/2013) – Traduzione e sintesi Carlotta Caldonazzo
Secondo le stime attuali, dal 2020 l’Algeria rischia di trovarsi a corto di gas. Un dato preoccupante per gli economisti locali, soprattutto considerando che nell’arco di un decennio gli Stati Uniti, in corsa per l’incremento e lo sviluppo della fratturazione idraulica, potrebbero diventare il primo produttore mondiale di gas e petrolio. Questa “rivoluzione” energetica garantirebbe a Washington un secolo di approvvigionamenti sicuri, al mondo intero circa 250 anni. Le dichiarazioni in proposito del direttore associato dell’Agenzia internazionale per l’energia (Aie) Richard hanno indotto Marvin Odum, dirigente Shell, a paventare la ridefinizione della mappa geopolitica mondiale.
Dal 2007 la tecnica di fratturazione idraulica, unita a quella della foratura orizzontale, ha reso possibile lo sfruttamento di immensi giacimenti di scisti tra Canada e Stati Uniti, malgrado l’alto rischio di inquinamento irreversibile delle falde freatiche e nonostante occorra un milione di metri cubi di acqua dolce per ottenere un miliardo di metri cubi di gas. Deterrenti significativi, almeno potenzialmente, per paesi il cui territorio è per gran parte semiarido, come l’Algeria. La conseguenza più immediata di questo nuovo settore ha fatto precipitare il prezzo del gas negli Usa a 3,5 dollari per BTU, a fronte dei 10 dell’Europa e i 15 dell’Asia (dove l’aumento della domanda è legato alla catastrofe di Fukushima).
Nondimeno gli esperti Usa restano cauti. Finora la Commissione federale per la regolamentazione dell’energia (Ferc) ha autorizzato la costruzione di un solo impianto di estrazione ed esportazione di gas naturale, quello di Sabine Pass, Louisiana, la cui apertura è prevista tra due o tre anni. Attualmente i progetti statunitensi di produzione di gas non superano i livelli mondiali (circa 300 miliardi di metri cubi), ma da qui al 2020 ne verranno prodotti “solo” tra i 30 e i 100 miliardi di metri cubi. In pochi tuttavia tengono conto della concorrenza della Cina, che ha costruito una centrale a carbone senza emissioni di CO2, un settore su cui Pechino sembra puntare senza escludere gli impegni nel GPL. Inoltre conta, come l’India, di dar vita nei prossimi cinque anni alla produzione dei gas da scisti.
La crisi economica mondiale e la crescente disoccupazione abbasseranno i prezzi degli idrocarburi ma i mercati contano sui paesi emergenti (come India e Cina appunto), la cui la domanda di gas dovrebbe aumentare del 50% e quella di petrolio del 10% a causa della crescita del settore dei trasporti. A meno che questi paesi non decidano di investire sulle energie rinnovabili o di soddisfare la propria domanda interna con la produzione locale.
Né le risorse umane né quelle naturali sono state finora fonte della ricchezza delle nazioni, ma è solo lo sviluppo delle tecnologie (un fatto tutto umano dunque) che, abbassando i prezzi del petrolio, ne ha permesso l’affermazione come carburante più diffuso. In futuro dunque è possibile che nuovi procedimenti e nuove tecnologie soppiantino gli idrocarburi con altre fonti di energia, più ecosostenibili, ma solo se riusciranno parimenti ad abbatterne i costi.