“Gli stessi ideali d’amore sono alla base delle principali religioni di questo mondo. Il Buddha, Cristo, Confucio, Zoroastro hanno insegnato prima di tutto l’amore. L’induismo, l’islam, il giainismo, l’ebraismo, la legge sikh, il taoismo perseguono il medesimo scopo. Tutte le pratiche spirituali hanno come obiettivo il progresso dell’umanità verso il bene”. Queste parole non sono mie, ma del Dalai Lama e mi è capitato di rileggerle citate in un libro estremamente arguto del teologo e pastore protestante keniota Shafique Kheshavjee, dal titolo “Il Re, il Saggio e il Buffone” (edito da Einaudi) e subito mi sono ritornate nella mente durante un incontro improntato proprio sul dialogo tra religioni diverse.
Tor Pignattara a Roma è il quartiere multietnico per antonomasia, ospitando un’alta concentrazione di stranieri – bengalesi in primis ma anche marocchini, egiziani, cinesi – che si portano dietro, e dentro, tradizioni culturali e soprattutto religiose differenti. L’incontro casuale e quotidiano tra queste persone – tra loro stessi e con gli italiani – non porta però ad una reale integrazione, e condivisione. E questo anche per la mancanza di iniziative che provino quantomeno ad aprire una via di conoscenza nei confronti di chi si considera come “l’altro” in senso troppo spesso dispregiativo. Eppure qualcosa si muove e piccole ma importanti realtà nel quartiere iniziano a promuovere proprio la conoscenza reciproca, fondamentale per smontare i pregiudizi e la diffidenza a priori che questo nostro tempo quasi ci impone.
Si tratta della Parrocchia Santa Giulia Billiart che, in occasione del periodo di Quaresima, ha programmato un’agenda di incontri, tra cui anche uno incentrato proprio sul dialogo interreligioso, nello specifico riguardante la religione musulmana, la più diffusa tra i residenti di Tor Pignattara dopo quella cattolica. “La famiglia nell’islam” era il tema principale, che si è poi ampliato a dismisura grazie ad un atteggiamento curioso e positivo della comunità che ha partecipato. Quali sono i valori che condividiamo? Quali le difficoltà comuni di educare alla fede e qual è il suo valore oggi? Queste e altre domande sono state le linee guida dell’incontro a cui doveva partecipare anche l’imam della moschea di via Gabrio Serbelloni, ma che all’ultimo momento ha avuto un imprevisto. Le sue veci però le ha fatte egregiamente Rifat Aripen, responsabile dell’area giovani del CAIL (Coordinamento Associazioni Islamiche del Lazio). Insieme a lui anche Padre Luigi Sabbarese e i parroci di Santa Giulia Billiart.
Rifat ha iniziato con un’introduzione sull’islam in generale: la parola islam ha la stessa radice di pace in arabo e significa “sottomissione” – intesa a Dio – proprio al fine di avere pace. Poi i cinque pilastri dell’islam, il matrimonio, i figli e via discorrendo. A parte le nozioni più teoriche di per sé, i presenti – di ogni età – hanno dimostrato grande curiosità e interesse nel voler sapere sempre di più sull’islam e sulle sue pratiche religiose e non, lasciando fortunatamente fuori i luoghi comuni. Rifat ha tenuto a sottolineare la pericolosità di chi dichiara di essere musulmano senza però conoscere davvero l’Islam. Il riferimento era abbastanza chiaro a quanti fanno del Corano e della religione musulmana veicoli di violenza, il tutto esasperato da un giornalismo troppo spesso superficiale e pressapochista. A questo proposito mi è subito venuto in mente un articolo che lessi qualche anno fa proprio sui giovani affiliati a Daesh (ISIS), che non conoscevano il Corano e che veicolavano tutto l’odio e la rabbia che si portavano dentro, per motivi ed esperienze diverse, in questo jihad distorto che nulla ha a che vedere né con il Corano, né con la religione musulmana.
Il tono pacato e dialogante di Rifat ha reso l’ascolto altrettanto rispettoso: tutti, ad esempio, sono rimasti positivamente colpiti da come un ragazzo così giovane citasse le sure del suo libro sacro in modo disinvolto e centrato. Padre Sabbarese stesso ha tenuto a sottolineare quanto sia importante il modo in cui si dialoga con gli altri. I tanti aspetti in comune tra le due realtà sono venuti fuori, soprattutto a livello di fede in sé per sé, elemento che accomuna come nessuno, più che di religione e tradizioni, che invece tendono a separare. Le differenze ovviamente ci sono e sono molteplici, ma non sono contraddizioni: per citare la metafora iniziale dello stesso Rifat, è come se fossimo parte tutti della stessa famiglia, dove ognuno è diverso ma comunque ricchezza per l’altro.