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La pace, il male minore per Israele

Di Walid Abu Murshid. Asharq Alawsat (03/01/2013). Traduzione e sintesi di Cristina Gulfi

“L’idea di uno stato binazionale è una minaccia per Israele, il sionismo e la democrazia”. Con questa parole il presidente israeliano Shimon Peres respinge l’idea di una risoluzione pacifica della questione palestinese, sostenuta invece dagli esponenti politici più realistici e moderati.

Nella loro visione la soluzione dei due stati è il male minore per Israele, alla luce del timore di perdere la propria identità per motivi demografici e trasformarsi così in uno stato binazionale. In effetti, secondo i dati dell’ultimo censimento della popolazione israeliana pubblicati a settembre 2012, i palestinesi costituiscono il 20,6% su un numero di abitanti di quasi 8 milioni mentre gli ebrei il 75,4%.

A tal proposito emergono due fatti importanti. Il primo riguarda l’aumento di immigrati ebrei provenienti dall’ex Unione Sovietica, Russia, Polonia e Romania in particolare. Si tratta della più grande minoranza etnica votante e comprende principalmente elettori di destra, forse in reazione all’oppressione del regime comunista e al sostegno dato alle cause arabe in politica estera.

In secondo luogo si evidenza una differenza nei tassi di crescita della popolazione, che per i palestinesi è del 2,4% mentre per gli ebrei è pari all’1,85%. Allo stato attuale il rapporto demografico è piuttosto stabile, ma nei prossimi decenni costituirà un grave problema per Israele in ragione dell’esaurimento di un fattore cruciale, cioè l’immigrazione ebraica.

In conclusione, nel prossimo futuro la destra israeliana potrà ancora contare sull’elettorato proveniente dall’Europa orientale. Ma nel lungo termine il timore di perdere la propria identità diventerà sempre più fondato, soprattutto perché Israele non può sottrarsi alla realtà geografica di stato del Medio Oriente.

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