Di Kamel Daoud. The New York Times (12/02/2016). Traduzione e sintesi di Roberta Papaleo.
Oggi il sesso è un enorme paradosso in molti paesi arabi: ci si comporta come se non esistesse, ma allo stesso tempo determina tutto ciò che non viene detto
Dopo Tahrir, c’è stata Colonia. Dopo la piazza, il sesso. Le rivoluzioni arabe del 2011 avevano entusiasmato le opinioni, ma dopo la passione è tramontata. Si è finiti per svelare le imperfezioni, i difetti di quei movimenti. Per esempio, hanno influenzato poco le idee, la cultura, la religione o i codici sociale, soprattutto quelli relativi al sesso. Rivoluzione non vuol dire modernità.
Il sesso è un tabù complesso. In paesi come Algeria, Tunisia, Siria o Yemen, è il prodotto della cultura patriarcale del conservatorismo, dei codici rigoristi degli islamisti e dei pluralismi discreti di certi socialismi nella regione. Un bel mix per bloccare il desiderio, per colpevolizzarlo e spingerlo ai limiti della clandestinità. Ben lungi dai tempi d’oro dell’era musulmana, all’epoca de “Il Giardino Profumato” di Sheikh Nefzawi, che tratta senza problemi di erotismo e di Kamasutra.
Oggi il sesso è un enorme paradosso in molti paesi arabi: ci si comporta come se non esistesse, ma allo stesso tempo determina tutto ciò che non viene detto. Negato, fa sentire il peso della sua occultazione. Anche se velata, la donna è al centro di tutti i nostri legami, i nostri scambi e le nostre preoccupazioni. La donna è un tema quotidiano ricorrente, in termini di virilità, di onore e di valori familiari. In alcuni paesi, non ha accesso allo spazio pubblico a meno che non rinunci al suo corpo: lasciare che si sveli significherebbe svelare l’invidia nascosta e negata dell’islamista, del conservatore, del giovane. In quanto fonte di discordia, non viene rispettata se non nel quadro di un rapporto di proprietà.
Contraddizioni che creano insopportabili tensioni: il desiderio non si sfoga; la coppia non ha intimità. Ne risulta una miseria sessuale che porta all’assurdo o all’isteria. A chi spera di vivere una storia d’amore, viene negata la dinamica dell’incontro, della seduzione e del flirt, dando potere alla polizia morale e facendo della verginità delle donne un’ossessione. In alcuni paesi islamici, viene condotta una vera e propria inquisizione.
Risultato: si finisce a fantasticare su un mondo altro, che sia quello dell’impudicizia e della lussuria dell’Occidente, o quello del paradiso musulmano e delle sue vergini.
I sessuologi scarseggiano in terra islamica, e il loro consigli non vengono ascoltati. Di colpo, sono gli islamisti ad avere il monopolio della narrativa sul corpo, sul sesso e sull’amore. Nei media, la cosa ha assunto forme mostruose – una sorta di porno-islamismo. Alcuni religiosi lanciano fatwa grottesche: vietano la nudità durante i rapporti sessuali, vietano alle donne di toccare le banane, vietano agli uomini di restare soli con una donna a meno che non si tratti della propria madre.
L’Occidente si è a lungo consolato nell’esotismo e nell’orientalismo, che normalizzano le differenza culturali e giustificano ogni abuso. Ma oggi, con le ultime ondate di migranti dal Medio Oriente e dall’Africa, il rapporto patologico che alcuni paesi del mondo arabo hanno con le donne ha fatto irruzione in Europa.
Quello che era il sogno esotico di terre lontane prende le sembianze di uno scontro culturale in terra d’Occidente. Le differenze smorzate una volta dalle distanze sono diventate un’imminente minaccia. Il grande pubblico occidentale scopre, nella paura e nell’agitazione, che nel mondo islamico il sesso è malato e che questa malattia sta per conquistare il suo territorio.
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