Intervista di Katia Cerratti
Esecuzioni, arresti, frustate, taglio delle dita per condotte immorali e torture in carcere. Accade in Iran, dove soltanto nel mese di gennaio quasi una persona al giorno è stata messa a morte, spesso nella pubblica piazza, con accuse di vario genere: sodomia, tossicodipendenza, furto, traffico di droga, attività contro la sicurezza del paese. In meno di una settimana più di 20 giornalisti sono stati arrestati con l’accusa di cooperare con la stampa straniera. Iran Human Rights Italia e Amnesty International denunciano una situazione davvero preoccupante e a pochi mesi dalle elezioni presidenziali che si terranno il 14 giugno, lo scenario potrebbe ulteriormente degenerare. E’ in atto una repressione ferma e crudele nei confronti di ogni tipo di attivismo politico, sociale e dei diritti umani.
Abbiamo chiesto a Riccardo Noury, portavoce di Amnesty in Italia, di approfondire alcuni aspetti delle violazioni dei diritti umani in Iran, pochi giorni dopo il convegno “Iran: non solo un programma nucleare. La crisi sociale, economica e dei diritti umani”, tenutosi il 30 gennaio a Roma e che oltre a Noury, ha visto protagonisti anche Marco Curatolo, Presidente di Iran Human Rights e Alberto Negri, giornalista de Il Sole 24 Ore.
Libertà d’espressione e repressione del dissenso in Iran, preoccupano e spaventano forse più del nucleare?
Sono due aspetti significativi di una politica irresponsabile da parte delle autorità iraniane. Peraltro, la “minaccia nucleare” è, per l’appunto, una minaccia in una prospettiva futura. Le violazioni dei diritti umani sono una realtà quotidiana: arresti arbitrari, condanne nei confronti di prigionieri di coscienza, torture, centinaia di esecuzioni all’anno, punizioni corporali accadono oggi, in questo momento.
Nel recente convegno hai sottolineato l’ipocrisia e l’intermittenza della comunità internazionale nei confronti delle violazioni dei diritti umani in Iran, ritenendola responsabile e corresponsabile per il degenerare della situazione. A cosa fai riferimento in particolare?
Al fatto che il tema al centro delle preoccupazioni internazionali è la minaccia nucleare, mentre le condanne a singhiozzo nei confronti delle violazioni dei diritti umani hanno mandato alle autorità iraniane una sorta di via libera: ci preoccupa prevalentemente quello che potreste fare all’esterno, all’interno fate come volete. Salvo rare eccezioni, le proteste per le violazioni dei diritti umani in Iran riguardano un unico tema, la pena di morte.
I governi di Londra e Parigi hanno protestato contro Teheran per l’arresto dei giornalisti avvenuto pochi giorni fa ma dall’Italia nessuna condanna. Come interpreti questo silenzio?
Forse, nel pieno della campagna elettorale, l’Italia non se n’è accorta….
Quali effetti potrebbe sortire l’appello che oltre 200 giornalisti iraniani hanno rivolto alle autorità competenti affinché rilascino i giornalisti arrestati?
Intanto, è un segnale di quanto la società civile iraniana, le associazioni e le professioni più attaccate dalla repressione (giornalisti, avvocati, sindacalisti) non si lascino intimidire. Mi auguro questa pressione contribuisca al rilascio di tutti i loro colleghi in carcere e al contempo temo che in carcere potrebbero finire, per quel loro gesto di solidarietà e coraggio, alcuni dei firmatari.
L’attuale Campagna di Amnesty “Ricordati che devi rispondere” mira a coinvolgere le forze politiche italiane nella difesa dei diritti umani. Puoi spiegarci meglio quali obiettivi volete raggiungere?
Chiediamo ai leader delle coalizioni e dei partiti che si candidano a guidare il paese, così come a tutti i candidati al parlamento, di dire chiaramente da che parte stanno rispetto a 10 aspetti cruciali relativi ai diritti umani in Italia: l’operato delle forze di polizia, la violenza contro le donne, il trattamento di migranti richiedenti asilo e rifugiati, le condizioni delle carceri, la discriminazione per motivi di orientamento sessuale, la persecuzione delle comunità rom, l’istituzione di un organismo per la promozione dei diritti umani, il comportamento delle nostre multinazionali all’estero, i controlli globali sulle armi e il ruolo dei diritti umani nella politica estera.
L’avvocato Nasrin Sotoudeh è finita in carcere insieme ai suoi stessi difensori e oltre allo sciopero della fame ha dovuto subire il cinismo di un permesso provvisorio di 3 giorni che poteva trasformarsi in definitivo e che invece l’ha ricondotta in carcere. Le porte di Evin sono aperte a tutti, blogger, registi, scrittori, giornalisti. Il regime ha paura dei prigionieri di coscienza?
L’elevato numero dei prigionieri di coscienza, la qualità delle loro storie personali, in alcuni casi anche la notorietà, significa che queste persone fanno paura. Anziché considerarle paranoicamente come controrivoluzionari al soldo di potenze straniere, le autorità iraniane dovrebbero rendersi contro del contributo importante che queste persone potrebbero dare al futuro del paese.
La questione delle torture rappresenta un altro aspetto inquietante del sistema carcerario. Ricordiamo che c’è un’inchiesta in corso sulla morte in carcere del blogger Sattar Beheshti, deceduto presumibilmente per le torture subite durante la detenzione. E’ utopico pensare a ispezioni internazionali all’interno delle prigioni iraniane?
Questa richiesta, le organizzazioni per i diritti umani le fanno da anni. È necessario che accada. I relatori e gli esperti delle Nazioni Unite sono super partes, le autorità iraniane dovrebbero fidarsi di loro. Se, come dicono, nelle prigioni iraniane va tutto bene, perché non li lasciano entrare?
Il giornalista de Il Sole 24 Ore, Alberto Negri, ha affermato che le sanzioni pesano sempre più sull’economia iraniana, il Riyal ha perso il 60-80% nella quotazione e ha inoltre citato il generale dei pasdaran Nasser Shabani che ha dichiarato: ”La minaccia maggiore alla sicurezza, oggi proviene dalle possibili proteste innescate dalla crisi economica”. Sei d’accordo con questa tesi?
Sì. Il malcontento tra i ceti popolari e tra i lavoratori è diffuso. Le proteste, da un lato potrebbero scatenare una forte repressione, dall’altro potrebbero creare un forte legame coi movimenti che scesero in piazza nel 2009. In ogni caso, se un regime spara sul suo popolo, è fallito.
Mancano soltanto 4 mesi alle elezioni presidenziali. Quale scenario potrebbe presentarsi e cosa si può fare per evitare il ripetersi dei fatti del 2009?
Difficile immaginare che ci siano un altro Karrubi o un altro Mussavi che infiammino gli animi, come nel 2009. Potrebbero essere elezioni tra contendenti dello stesso apparato, una resa dei conti politica all’interno del sistema. La stretta intorno all’informazione, l’aumento delle esecuzioni pubbliche dimostrano che le autorità hanno paura e, avendola, devono trasmetterla alla popolazione. Vogliono elezioni blindate. La comunità internazionale dovrebbe far sentire una voce comune: un monito a Teheran affinché non vi sia repressione, prima e dopo le elezioni.
Quale futuro per gli iraniani che sfidano i soprusi del regime e ogni giorno rischiano la vita per salvaguardare la libertà d’espressione?
Il futuro sarà dalla loro parte se il mondo saprà appoggiare con solidarietà il loro coraggio e la loro richiesta di diritti umani; se protesteremo in modo credibile, in nome dei diritti umani, ogni volta che una donna o un uomo in Iran finiranno in carcere solo per aver espresso le loro idee.
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