Di Marwan Muasher. Al-Ghad (19/04/2017). Traduzione e sintesi di Emanuele Uboldi.
I due traditori che si sono fatti esplodere nelle chiese egiziane non conoscono la storia della cristianità, né la storia dei cristiani in Egitto e nel mondo arabo: la chiesa copta risale al primo secolo dopo Cristo e la maggioranza degli egiziani era cristiano fino alla comparsa dell’Islam nel settimo secolo d.C. Così pure, i cristiani formavano comunità in Giordania già dal 70 d.C., cioè dalla presa di Gerusalemme per mano romana. Anche i Nabatei e i Ghassanidi si convertirono al cristianesimo, tanto che anche 300 anni dopo l’arrivo dell’Islam erano ancora la maggioranza. Questo a conferma del fatto che l’Islam né obbligava le popolazioni sottomesse a convertirsi, né le considerava inferiori. Infatti, proprio il profeta Mohammad, nella Costituzione di Medina, equiparava musulmani e non nel decretare diritti e doveri. Gli arabi cristiani erano parte stessa del tessuto sociale arabo.
L’idea innovativa dell’Islam, che invita proprio a porre sullo stesso piano l’identità musulmana e cristiana, è andata affievolendosi con il passare del tempo. Ben lontano da questa idea, la storia è stata testimone della discriminazione verso i cristiani da parte di molti imperi arabi, soprattutto dopo quello Abbaside, per quanto questi ricevessero un trattamento decisamente migliore di quello riservato ai musulmani (e agli ebrei) da parte dell’Europa cristiana dopo la caduta di Granada nel 1492 e durante l’Inquisizione.
In era ottomana, era concesso ai cristiani di praticare i propri riti religiosi, ma indossavano abiti di un certo colore per distinguersi. Solo con le Tanzimat, nel sec. XVII, finalmente e per la prima volta i cittadini sarebbero stati considerati uguali di fronte alla legge, indipendentemente dalla propria appartenenza religiosa.
In era contemporanea, invece, gli arabi cristiani hanno ricoperto un ruolo importante nell’attività araba dei sec. XIX e XX: i nomi di Butrus al-Bustani, Ibrahim Nasif al-Yajizi, Jurji Zaydan, Constantin Zureyq e molti altri sono scritti a chiare lettere affianco a quelli di Sati’ al-Husri, Taha Hussein, Qasim Amin, Sa’d Zaghlul, tra tanti altri.
Le lezioni della storia sono importanti, ma le pratiche del passato appartengono al passato: dovendo considerare il contesto, è necessario superarle e svilupparle ulteriormente. Per questo, qualunque sia il futuro del mondo arabo, è necessario che sia basato sul riconoscimento di un eguale statuto di cittadinanza per il progresso della società. Questo è uno dei pilastri dello stato laico democratico e, senza aprire il capitolo dell’irremovibilità della nostra legislazione e dei nostri sistemi educativi e della loro applicazione, resterà una classe, per quanto piccola, che sente di potersi opporre a questa pratica retrograda.
Al fianco della responsabilità dello stato nell’affrontare la questione, molta responsabilità resta nelle mani dei cittadini, tanto cristiani, quanto musulmani.
Sbaglierebbero quegli arabi cristiani che, intimoriti dai terroristi come Daesh (ISIS), si affidassero ai regimi dittatoriali, consegnandogli alcune delle proprie sicurezze, tra le quali i diritto di restare cittadini a pieno titolo, poiché questo creerebbe una spaccatura tra essi e il resto della società.
Sbaglierebbero gli arabi cristiani se restassero ubbidientemente sotto l’etichetta della “minoranza”, poiché questo minerebbe il loro diritto a una piena cittadinanza. E mentre molti arabi musulmani ci mostrano storie di collaborazione con gli arabi cristiani, alcuni di loro pure sbagliano nel pensare di avere maggior diritto all’essere cittadini rispetto ai cristiani, poiché questo aprirebbe una pericolosa spaccatura nella società.
È arrivato il momento per il mondo arabo di attivarsi effettivamente per consolidare una pari cittadinanza a tutto tondo, non solo scritta nelle leggi, ma anche nella pratica: in questo modo si costruirebbe un futuro ricco e diverso.
Marwan Muasher è un diplomatico e politico giordano, ora vicepresidente di Carnegie Endowment for International Peace.