Egitto: il taglio dei sussidi è impopolare ma necessario

Di Amer Thiab Al-Tamimi. Al-Hayat (27/07/2014). Traduzione e sintesi di Cristina Gulfi.

Il governo egiziano è giunto ad una decisione sulla politica dei sussidi: cancellerà quelli per il gas naturale e diminuirà del 13% quelli per il pane, sebbene i cambiamenti definitivi dipenderanno dal bilancio fiscale 2014-2015.

Questa scelta rappresenta un progresso nella gestione politica della situazione economica attuale. I costi sostenuti dallo Stato per via dei sussidi influiscono infatti sul deficit, determinando la richiesta di prestiti ed un maggior debito pubblico. L’aumento dei prezzi servirà dunque ad alleviare il fardello finanziario che grava sul governo egiziano e, se non verrà revocato per motivi politici, forse aiuterà anche a razionalizzare i consumi.

I sussidi sono parte dell’apparato economico egiziano sin dall’era fatimide. Così, parallelamente al successo del sistema politico egiziano, si è radicata la convinzione che il governo sia eticamente tenuto a fornire pane, cibo e carburante a prezzi accessibili. In seguito ad una serie di crisi finanziarie che hanno colpito l’Egitto negli ultimi decenni, si è cercato di annullare o diminuire le sovvenzioni, in modo da ridurre il deficit pubblico. Questi cambiamenti, tuttavia, sono stati revocati a causa delle proteste popolari.

Nel 1975-77, ad esempio, esplosero subito delle manifestazioni allorché il governo di Sadat prese in considerazione di effettuare tagli ai sussidi su consiglio del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale. Sadat voleva ristrutturare l’economia dell’Egitto e liberarla dai prestiti accumulati sotto Nasser, come risultato della corsa agli armamenti e delle spese militari sostenute in Yemen e contro Israele. La sua filosofia di apertura economica, tuttavia, non raggiunse gli obiettivi di razionalizzazione delle attività economiche dello Stato, né di diminuzione della spesa pubblica, riduzione dei sussidi e riforma dell’impiego nel settore statale.

Nei decenni scorsi, i sussidi hanno rappresentato una delle sfide principali per la riforma della politica fiscale in Egitto. Sembra che gli aiuti non siano stati diretti a chi ne aveva davvero bisogno. Una certa ritrosia a rivedere la questione ha complicato i tentativi di riforma, soprattutto perché molti egiziani consideravano le sovvenzioni un diritto acquisito. Il nuovo governo, forse, sarà più capace di far fronte alle proteste contro la riduzione dei sussidi – specie quelli per il carburante – e l’aumento dei prezzi.

Al tempo stesso, è indubbio che la crisi vada affrontata e che il settore privato debba adottare una filosofia di creazione continua di posti di lavoro. I rapporti del 2014 indicano che il tasso di povertà riguarda il 24,6% della popolazione, pari a 24 milioni di egiziani. Di questi, ben 4 milioni vivono in uno stato di povertà estrema. Come affrontare il problema in un Paese sovrappopolato, con risorse naturali limitate e senza lo sviluppo di meccanismi di investimento, la realizzazione di progetti economicamente vantaggiosi e la liberazione dello Stato dal debito e da una burocrazia trincerata e disfunzionale?

La creatività sarà fondamentale nel formulare nuove politiche economiche che adeguino l’apertura al settore privato e incoraggino la lotta alla povertà. Ma occorreranno anche investimenti nel campo dell’istruzione, nella formazione di lavoratori qualificati e nel settore della salute. In sintesi, i compiti richiesti al governo egiziano da questo processo di riforma economica saranno complessi e avranno bisogno di ponderazione e risolutezza insieme.

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