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Africanistan: due metri e due misure

Articolo di Giusy Regina

“Se sei stato un impero, non finisci mai di esserlo”. Con queste parole Lucio Caracciolo inizia l’editoriale Quel che resta del colonialismo, in cui analizza come le azioni e le reazioni della Francia di Hollande nei confronti dello stato del Mali siano inevitabilmente legate al suo sentirsi ancora un impero, con relativa ideologia e missione civilizzatrice.

Sicuramente la Francia, nel periodo coloniale, oltre a conquistare territori amava diffondere i valori rivoluzionari che aveva fatto suoi e di cui andava fiera. Ma in questo caso si va oltre la semplice neo-spinta coloniale o la mera volontà di mantenere una sfera di influenza. Il Mali, che Hollande ha ribattezzato Africanistan, è uno stato poverissimo che già dal 22 marzo 2012 sta vivendo nel caos più totale, in conseguenza del colpo di stato militare che ha deposto il presidente democraticamente eletto Amadou Toumani Touré. Da allora i ribelli Touareg hanno combattuto per la zona settentrionale della regione, l’Azawad, dichiarandola unilateralmente indipendente il 6 aprile 2012.

Ma non è certo un caso che la situazione in Mali sia precipitata esattamente dopo la caduta del raìs libico Muhammar Gheddafi. Proprio poco prima della cattura del dittatore, è stata dichiarata ufficialmente la nascita del Mnla (Movimento nazionale per la liberazione dell’Azawad), in cui sono confluiti migliaia di combattenti Touareg, arruolati dapprima nell’esercito libico.

I retroscena però, seppur chiariscono alcuni aspetti, non eliminano le contraddizioni. La Francia infatti sembra aver cercato consensi all’operazione che sta conducendo in Mali contro “i terroristi islamici”, senza però avere un aiuto concreto. In un articolo apparso su Le Monde si sottolinea proprio la solitudine della Francia che, pur avendo la legittimazione dell’ONU, agisce da sola. Forse Hollande avrebbe dovuto cercare più assenso internazionale? Forse gli altri stati europei e l’America stessa procedono con cautela per non ritrovarsi impantanati in quella che ha tutta l’aria di diventare una guerra contro l’Islam, più che contro semplici terroristi.

Inoltre alcuni sostenitori che durante l’attacco alla Libia erano al fianco della Francia, adesso si ritrovano sul fronte opposto. Qui religione e politica si mischiano. Basti pensare al noto imam Yusuf al-Qaradawi che ha ammonito di recente la Francia, accusandola di non aver tentato l’adozione di misure pacifiche prima di passare all’attacco in Mali. Ha sottolineato inoltre le conseguenze pericolose che ne deriverebbero in termini di morti, distruzione e carestie. Certo non si può non essere d’accordo con l’adozione di soluzioni aperte al dialogo, ma ciò che colpisce è che proprio lui se ne faccia promotore, dal momento che durante la guerra libica ha addirittura emanato una fatwa per autorizzare l’uccisione di Gheddafi, sostenendo dunque la Francia e i ribelli di allora che lottavano contro il regime.

E bisogna chiamare in causa anche altri ribelli, quelli siriani. La Francia ha dichiarato di intervenire in Mali impegnandosi a fianco dell’esercito regolare, contro la minaccia terroristica rappresentata dai ribelli Touareg. Dando questo per vero, anche l’Iran allora sarebbe legittimato ad intervenire al fianco del regime di Assad, contro i ribelli siriani che per il governo altro non sono che terroristi. E cosa dire della decisione stessa di intervenire in Mali, dopo soli nove mesi di instabilità, e su quella di non farlo invece in Siria dopo quasi due anni di guerra civile? Ma questa è un’altra storia.

Un racconto arabo narra che una madre, parlando del matrimonio della figlia, si riteneva soddisfatta in quanto in casa era il genero a sbrigare tutte le faccende. Al contrario, parlando del matrimonio del figlio si lamentava del fatto che dovesse fare tutto lui.