Di Zouhir Louassini. Osservatore romano (27/04/2017).
C’è vero dialogo solo tra interlocutori sinceri e onesti, come dimostrò in modo definitivo già il Socrate platonico del Protagora. Se manca la volontà comune di capirsi e la sincerità nell’esprimersi, il dialogo non nasce nemmeno. Ancor oggi, quando si ragiona sulla relazione tra l’islam e le altre fedi, bisogna onestamente riconoscere che nel mondo musulmano alcuni leader religiosi usano un doppio registro: uno per il consumo locale e un altro per rivolgersi al resto del mondo. Ciò che questi leader dicono in arabo, non è mai tollerante né aperto quanto ciò che esprimono in altre lingue, verso pubblici diversi dal proprio. È arrivato il momento di smetterla con questo doppio linguaggio che, proprio per la sua ambiguità e confusione, dà forza a chi crede che tutto sia utile per «combattere contro gli infedeli», persino l’ipocrisia.
Gli attentati del 9 aprile scorso che hanno gravemente colpito la comunità copta egiziana sono stati condannati da un coro unanime. È vero: dopo ogni attentato il “clero” musulmano in stragrande maggioranza non fa altro che disapprovare i gesti d’una minoranza fanatica e piena d’odio. Dopo ogni attentato. Prima, invece, si fa poco; pochissimo per elaborare un discorso di pace utile per la vita quotidiana. Nelle moschee — non tutte, per fortuna — si continuano a sentire maledizioni e insulti contro tutti quelli che non sono musulmani. Nelle scuole i programmi didattici non smettono di insegnare odio e disprezzo verso il diverso. Questi sono fatti che nessuna persona minimamente obiettiva potrebbe negare.
«Annahar», celebre giornale libanese, ha pubblicato il 12 aprile un’inchiesta intitolata «Moschee e canali televisivi attaccano i cristiani in Egitto. I copti sono infastiditi per “incitazioni” contro di loro». Un titolo che sintetizza una situazione ormai inaccettabile. L’articolo racconta alcune storie di cristiani in Egitto, come quella di Michel Fahmi, un venditore di souvenir, testimone di come dagli altoparlanti delle moschee del suo quartiere ogni venerdì si ricoprano di insulti e maledizioni i copti. «La nostra stessa società non insegna che musulmani e cristiani sono fratelli e figli della stessa nazione; l’educazione è molto importante per una cultura d’amore» conclude Fahmi.
Nell’articolo si parla anche di molti canali televisivi che fomentano l’odio e incitano i giovani contro i cristiani; si sottolineano gli sforzi delle autorità egiziane per chiudere quei canali e per cercare di mettere sotto esame il sermone del venerdì. Ma — si legge nell’inchiesta — ci sono molti predicatori fuori controllo che riescono a far passare comunque il loro messaggio d’odio.
Liliane Anis, una giovane di 23 anni, racconta i suoi ricordi di scuola: «Alcuni non volevano rivolgermi la parola perché sono cristiana». E sottolinea che tutto nasce nei primi anni d’infanzia, «quando i bambini vengono separati: questo è musulmano e questo è cristiano». Non c’è davvero nulla da stupirsi se, dopo gli attentati del 9 aprile, molti copti fossero profondamente scettici e poco fiduciosi nel futuro. Amore e fratellanza sembrano parole vuote davanti a una situazione in cui molti musulmani, per il loro silenzio, diventano complici di una cultura di chiusura che non riesce a vedere nel diverso una ricchezza e non un nemico.
Al contrario di molti leader religiosi che dicono in arabo quello che non ripetono nelle lingue occidentali, «Annahar» scrive tutto ciò con chiarezza, nella lingua che tutti gli arabi possono capire. Questa è la strada giusta: diciamo senza ipocrisia che la situazione è grave. Raccontiamo che i nostri fratelli cristiani subiscono grandi ingiustizie. Vediamo in loro i nostri connazionali e non cittadini di un’altra, infima, categoria.
Se in un secolo — cento anni, un breve tratto nella storia dell’umanità — i cristiani in Medio oriente sono passati dal 20 per cento al 2-3 per cento della popolazione, allora bisogna ammettere che qualcosa non va. Ammetterlo è già un primo passo per rimediare. Il ruolo dei leader e delle istituzioni islamiche per cambiare la situazione attuale è cruciale.
Per questo bisogna smetterla con i discorsi ambigui. I cristiani non sono un corpo estraneo in Medio oriente. Sono parte integrante della storia di quella terra. Non bisogna mai dimenticare che Gesù, venerato anche dai musulmani, nacque a Betlemme e visse a Nazareth. Più mediorientale di così!
r.e.
30 Aprile 2017Chissà se il papa legge l’osservatore romano!