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“Donne al buio” di Asmae Dachan è la Siria che muore ogni giorno

Dal blog Hiwar di Giusy Regina

“Sono avvolta dal buio, la fiamma della candela si muove timida, furtiva, quasi impercettibile. Sul muro figure deformi, surreali. Basta allontanare un attimo lo sguardo da quell’innocente fuoco e sentirsi addosso il peso dell’oscurità…quel silenzio che avvolge la stanza, questo palazzo, questo quartiere, questa millenaria ed esanime città”. Così inizia Donne al buio, pièce teatrale di poco più di 15 minuti, scritta dalla giornalista italo-siriana Asmae Dachan e andato in scena sabato 13 maggio al Brancaccino di Roma per la prima assoluta. La città protagonista è la martoriata Aleppo, un tempo fulcro della vita commerciale e religiosa della Siria e oggi cumulo di macerie indescrivibile.

Io ci sono stata ad Aleppo, nell’ormai lontano 2008, quando ero ancora una studentessa e quando le strade della città erano piene di gente: il vociare confuso delle donne nel suq, i bambini che giocavano a rincorrersi mentre le madri chiacchieravano tra loro. Io ci sono stata ad Aleppo, quando era una città viva. Poi d’un tratto è arrivata la morte, che l’ha rubata al mondo. Non si tratta solo di una morte esteriore però, non si tratta solo della distruzione fisica delle case, delle moschee, delle opere di inestimabile valore artistico e culturale. La morte è quella che si è impossessata anche dei suoi abitanti, la maggior parte uccisi o fuggiti. E quelli rimasti vivi sono morti dentro. E quelli per cui la morte dentro è diventata insopportabile, si sono uccisi da soli. Simbolo di tutto questo diventa Sara in Donne al buio, donna siriana il cui dramma fa da sfondo alla storia ma con una forza e un impatto scenico da togliere il fiato. Letteralmente.

Aleppo più delle altre città siriane è diventata il simbolo in negativo di questa guerra che impervia in Siria dal 2011 e di cui non si vede la fine. Forse è per questo che Asmae Dachan ha scelto proprio questa città per parlare della sua Siria. L’ho chiesto direttamente a lei:

D: Perché proprio Aleppo?

R: Perché descrivo un momento reale. Nel 2013 sono entrata ad Aleppo per raccogliere testimonianze di civili colpiti dai bombardamenti e dalle violenze. Aleppo è una città ormai martoriata, colpita da una delle ultime tappe del genocidio siriano ed è anche la città d’origine della mia famiglia. È il mio passato, le mie radici, ma è anche il mio cuore spezzato. Un tempo era la capitale culturale della Siria, oggi è il simbolo della barbarie umana, del fallimento della diplomazia internazionale e della sofferenza di civili inermi. 

D: Quindi ci sono elementi  autobiografici nella sceneggiatura.

R: C’è molto di autobiografico, perché la voce narrante racconta quello che io ho visto e vissuto in quel viaggio. È realtà fatta drammaturgia. Anche il personaggio di Sara è reale. Ho voluto inserire la sua tragedia nella storia, pur non avendola conosciuta personalmente, per dare voce a tutte le donne come lei, vittime silenziose e invisibili di una violenza misogina, disumana e ignorata, persino negata.

Interpretato da Paola Giorgi, bravissima attrice marchigiana, Donne al buio è un monologo, la cui sceneggiatura è stata scelta per partecipare al concorso “L’alba che verrà: 16 attrici per raccontare le nuove voci del terzo millennio”. Bis Tremila ha offerto la possibilità a sedici interpreti di presentare una proposta teatrale, in forma di monologo appunto, per l’edizione romana della rassegna “Una stanza tutta per lei”. La direzione artistica ha selezionato, tra tutti i materiali pervenuti preliminarmente via mail, queste 16 interpreti.

D: Qual è il messaggio di Donne al buio e perché è così importante scrivere di Siria?

R: La rassegna “L’alba che verrà” è un contenitore di monologhi che raccontano le donne del nuovo millennio. Il mio testo racconta le donne che subiscono la guerra e l’abuso, un volto tragico e reale della nostra epoca. Il monologo denuncia ciò che sta accadendo in Siria e lo fa in forma artistica, drammaturgica, lasciando allo spettatore la possibilità di farsi la sua idea su quanto accade. Scrivere di Siria è fondamentale per non consegnare questa immane tragedia all’oblio. 

La cosa che mi è piaciuta di più è stata che, più ero coinvolta e attratta dallo snodarsi della rappresentazione, più non riuscivo ad immaginare l’epilogo, o semplicemente la scena successiva. Imprevedibile e magnetico. Sì, forse sono di parte nelle emozioni forti e a tratti strazianti che ho provato, ma dopo l’applauso finale ho avuto cura di osservare anche le altre persone sedute in sala: i volti incollati su quel palco come se non volessero accettare che la pièce era finita e l’applauso incessante che ha faticato quasi a partire per non “disturbare” il silenzio finale della scena.