Di Abdallah Nasser Al-Othiabi. Al-Hayat (17/08/2014). Traduzione e sintesi di Marianna Barberio.
Con l’avvento del nuovo governo in Iraq si è iniziato a discutere a livello locale e internazionale di democrazia sull’esempio dell’esperienza belga o svizzera. Tutti mirano ad una democrazia pura rivestita del colore iracheno, che poggi su una forza interna lontana da interferenze esterne. Rimane tuttavia un sogno di difficile realizzazione.
Il successore di al-Maliki, il dottor Haidar al-Abadi, che si appresta a divenire il capo del Consiglio dei Ministri, deve ora concentrarsi sulle priorità degli iracheni che riguardano la realizzazione della pace civile e la garanzia dei fabbisogni necessari alla popolazione.
In primo luogo, il termine democrazia risulta illusorio, insidioso e variegato, il cui senso non appartiene alla realtà araba. Infatti, quando parliamo di democrazia nel mondo arabo è come se ci riferissimo all’importanza della frutta sulla tavola del popolo che però muore affamato; oppure, come se parlassimo di strategie necessarie da dover attuare alla luce di una lanterna per l’assenza di un generatore elettrico. La democrazia non ha sede in Iraq almeno in questa prima fase di cambiamento: essa sarà il frutto di sforzi leali e condivisi in tutti i campi. Spetta ad al-Abadi e al suo team non lasciarsi condizionare da malintesi democratici che renderebbero nullo il suo incarico.
Secondo: nonostante le differenze di identità e di religione, gli iracheni chiedono di unirsi in un unico schieramento guidato da al-Abadi, dimenticando il suo passato di rappresentante del partito sciita Dawa, per assicurare sicurezza al Paese.
Terzo: l’Iraq riveste un’importanza linguistica e una superiorità storica tra le altre potenze regionali. Il Paese può rinascere con l’aiuto dei suoi alleati ma anche e soprattutto da solo, contando sulle molte e ricche componenti interne, tra cui le risorse naturali, la ricchezza umana e i siti strategici.
Quarto: quando i clerici e i leader tribali hanno interferito negli affari politici, i loro uomini sono caduti in disgrazia! Essi non sono altro che riformisti i quali mirano a santificare la propria esistenza e rafforzarne la venerazione presso i loro seguaci. Ad essi non importa la riforma pubblica e così arrivano alla politica ignoranti del suo mondo. Gli iracheni chiedono di lasciarli al loro destino in una condizione civile e semplice.
In ultimo, tra dieci anni gli iracheni avranno bisogno di concentrarsi sulla costruzione del proprio Iraq, rivalutando la politica del “non allineamento” per giungere forse alla realizzazione della nuova Svizzera dell’Est.
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