Adua e Zoppe sono una figlia e suo padre, ma più che legati appaiono divisi da un rapporto minato fin dalle origini a causa della morte della madre avvenuta nel momento in cui ha messo al mondo la sua bambina. Zoppe non ha mai accettato la perdita della moglie e di fatto ne ha sempre colpevolizzato la figlia.
Il romanzo si svolge su piani temporali differenti, sia nel racconto di Adua che in quello di Zoppe, ognuno riferito alle fasi più significative della propria esistenza.
Zoppe, grazie alla conoscenza della lingua italiana, viene scelto come interprete durante l’occupazione fascista della Somalia e sviluppa quindi il suo personale rapporto con l’Italia di allora.
Adua invece arriva in Italia negli anni Settanta, spinta dal sogno di diventare una stella del cinema.
Per entrambi però l’Italia diventa fonte di sofferenze, discriminazioni e umiliazioni.
Zoppe porta dentro di sé la sofferenza e le umiliazioni costretto a subire e che lo portano a rinnegare il passato, cercando in tutti i modi di compiacere i nuovi padroni, gli italiani verso i quali mostra la sua gratitudine anche cambiando il nome della figlia, da Habiba in Adua.
Habiba, che in arabo significa amore, viene sostituito con Adua, in onore degli occupanti fascisti e della loro presunta gloria imperiale.
Nel romanzo la Scego fa un espresso richiamo a pratiche purtroppo ancora troppo in uso in molti paesi africani e anche dell’area maghrebina: le mutilazioni sessuali femminili.
Adua, come sua sorella, viene sottoposta all’infibulazione. E come se ciò non bastasse viene redarguita dal padre perché non riesce a sopportare nel silenzio il dolore di ciò che le è stato fatto e da libero sfogo alla sua sofferenza attraverso il pianto.
Ma in “Adua” troviamo anche un altro tema particolarmente significativo in questo nostro tempo, quello dei migranti e della loro rappresentazione nell’immaginario collettivo. Di particolare interesse risulta la duplice categorizzazione sviluppata dall’autrice nel romanzo: da un lato c’è Adua, definita una “Vecchia Lira” dai migranti di nuova generazione, e dall’altro c’è Titanic, un ragazzo arrivato in Italia viaggiando sulla rotta mediterranea che finisce per sposare Adua, consolando la sua solitudine sul corpo flaccido della donna ormai invecchiata. Titanic è il macabro nomignolo che viene affibbiato a coloro che riescono ad arrivare dopo la traversata del Mare Nostrum.
Adua, dopo aver rinunciato per sempre ai suoi sogni di ispirazione hollywoodiana, anela a tornare nella sua natia Somalia, e per riempire la sua solitudine finisce per intessere un fitto colloquio confidenziale con l’elefantino di Piazza della Minerva a Roma, in un processo di “umanizzazione” della statua che alla fine è la sola a dare ascolto alle sue tristi e sconsolate storie.
L’ultimo romanzo di Igiaba Scego è stato pubblicato da Giunti Edizioni.
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