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SH-B-B, divampa nei ragazzi

graffiti egiziani a Kasr el-Nil, foto di Basma Hamdy
graffiti egiziani a Kasr el-Nil, foto di Basma Hamdy
graffiti egiziani a Kasr el-Nil, foto di Basma Hamdy

“Giovani ma logorati dalla lotta,” li declinava lo sguardo di Mario Luzi, precisando: “E più che dalla lotta / dalla sua mancanza umiliante”. I ragazzi, shubbān, le ragazze, shābbāt, e la loro gioventù, shabāb. Nel verbo shabba si compie per me il passaggio di chi esce dall’infanzia (che per René Char “è sola. Chi sopraggiunge è oscuro”) ed entra nell’adolescenza. shabba è anche il divampare di un incendio o l’infuriare di una guerra. Ciò che divampa nel farsi ragazzo, le fiamme e gli scontri di quella regione del tempo, per la lingua araba coesistono nella stessa radice.

Ho tenuto per vent’anni un libro con me, e solo qualche giorno fa la sua lettura è riuscita a travolgermi. Di shubbān è pieno in ogni pagina, e mi ha restituito gli anni di scuola di mio padre, che lo ama tanto e me ne fece dono quando ero in terza elementare. “Cuore”, di Edmondo De Amicis. Il padre del giovane Enrico gli scrive dei ragazzi che in tutto il mondo vanno a scuola come lui, dalla Russia fino “alle ultime scuole dell’Arabia ombreggiate dalle palme”. E gli chiede di figurarsi davanti agli occhi “questo vastissimo formicolìo di ragazzi di cento popoli”.

Gli shubbān di Cuore hanno tutti un’età che oggi considereremmo infantile, ma che per quei tempi ce li mostra già grandi – come se stessero sempre in punta di piedi: è bello che in arabo shabba indichi anche quest’azione. Di sicuro shābb lo era mio padre che frequentò le scuole medie dai 18 ai 21 anni perché solo allora ne costruirono l’edificio nel suo paesino in Calabria. Riferendosi ai ragazzi che apprendono, il genitore rimarca: “Se questo movimento cessasse, l’umanità ricadrebbe nella barbarie; questo movimento è il progresso, la speranza, la gloria del mondo.” – e di shabba sembra rivestire lo spirito pieno quando incalza: “Coraggio dunque, piccolo soldato dell’immenso esercito. I tuoi libri son le tue armi, la tua classe è la tua squadra, il campo di battaglia è la terra intera, e la vittoria è la civiltà umana. Non essere un soldato codardo, Enrico mio.”

Per il poeta siriano Abu ‘-Ala al-Ma’arri la gioventù del pensiero e del sentire sembra in lotta con ciò che vorrebbe sradicarla. Immagina il cuore e la ragione come due ragazze da difendere, sue figlie: non le renderà complici dei delitti del mondo. In una sua quartina dichiara: “E ora a queste mie Figlie di cuore e ragione, / Io faccio scudo e le recludo al genere umano; / Non cercano figlio d’uomo per conquistarne il cuore, / Né si faranno spose di un mondo crudele.” Quella crudeltà che qualche giorno fa, nel giorno del suo 16° compleanno, la studentessa pakistana che subì un’aggressione da parte dei Talebani, Malala Yousafzai, ha cercato con tutte le sue forze di scacciare, non chiedendo “vendetta per i Talebani” ma volendo fermamente semmai “un’istruzione per i figli e le figlie dei Talebani”.

Lei che con le sue parole alle Nazioni Unite ha intrapreso davvero una rivoluzione, e che mi è risuonata dentro quando ho letto questo articolo su Al-Mustaqbal in cui Lara al-Sayyidi parla dell’ottava edizione del Samir Kassir Award per la Libertà di Stampa, e il cui titolo è un inno agli shabāb: “Premio Samir Kassir alla sua Ottava edizione: i ragazzi rompono le barriere in difesa della parola”. Vi si dice infatti che su 1200 partecipanti di 17 nazioni, il 66 % ha meno di trent’anni.

Il “mondo crudele” denunciato da Al-Ma’arri quasi 1000 anni fa è lo stesso cui Ali Ahmed, 12 anni, egiziano, vuole dare oggi filo da torcere mettendola in moto, la sua ragione. “Come sai tutte queste cose?” gli chiede l’intervistatrice. “Ascolto molto la gente e uso il mio cervello. E poi leggo i giornali, guardo la tv e cerco notizie su internet”. Parla con una sicurezza e una schiettezza che strabiliano il signore alle sue spalle: questo ragazzo ha del fegato! sembra dire la sua risata. Quando discute della situazione politica dell’Egitto, Ali fa riferimento alla Costituzione e fa notare: “C’è scritto che le donne sono in tutto e per tutto uguali agli uomini, ‘eccetto in questioni che contraddicano la legge islamica’… Ma la legge islamica permette agli uomini di mettere in riga le proprie mogli. (…) Non posso picchiare mia moglie e quasi ucciderla e poi dirti che questo è il modo di metterla in riga – non lo è! È un abuso e una follia.”

Ma troviamo anche i ragazzi legati alla Fratellanza Musulmana, che qualche giorno fa sul quotidiano El-Wafd venivano descritti così: “Cresce il malcontento tra le file della militanza studentesca dei Fratelli Musulmani, con i giovani che chiedono più voce ed indipendenza dai vertici dell’organizzazione.” (di Luca Pavone, qui la sua news). Molte voci e storie di ragazzi e ragazze le troveremo presto nel nuovo blog di Silvia Di Cesare che si intitola Ajyal, generazioni, e di cui nella presentazione ha scritto già in modo rigenerante: “E se molte volte vi sembrerà di leggere di voi, dei vostri interessi e della vostra vita non vi meravigliate, sono i rischi della conoscenza.”

Mentre leggevo Cuore, ho letto anche Il nostro quartiere dell’amato Naguib Mahfouz (Ḥikāyat ḥāritnā, 1975, tradotto da Valentina Colombo). Mette splendidamente in luce quello che può voler dire, per i ragazzi, lo scoppio di una rivoluzione. Il piccolo protagonista vive le vicende della rivoluzione egiziana del 1919, di cui fu simbolo Saad Zaghlul. “Sono convinto che quello che è successo è qualcosa di grave ma, al contempo, di eccitante e di molto coinvolgente,” dice il piccolo nel pieno delle rivolte. Suo cugino Sabri arriva in casa sua per sfuggire alla polizia che l’aveva scoperto rivoluzionario: “Affascinato, gli chiedo: Tu sei uno di quei giovani dimostranti che gridano ‘Evviva Saad’? Mi sorride, ma non risponde. Sembra più vecchio della sua età.” Come cambia le giornate dei ragazzi, una rivoluzione? Eccone una declinazione perfetta: “Non si parla che di essa, in questi giorni. Del resto, anche noi ragazzi parliamo col gergo della Rivoluzione, al punto che le manifestazioni che attraversano il quartiere e lo scandire slogan diventano i nostri giochi preferiti.”

Ma penso anche ai ragazzi costretti a partire, che nessun’altra terra fa in tempo ad accogliere se muoiono nel viaggio. Di questo dramma ha scritto Gian Piero Stefanoni, dopo aver letto la notizia di un ragazzo forse egiziano che era annegato sulla costa siciliana, perché buttato giù dagli scafisti. Un ragazzo senza nome che diventa ognuno degli altri ragazzi, lui che il poeta scorge “muto e ignoto ragazzo la cui bracciata / è mancata, la cui statura s’è rotta / nella rena coperto da insetti.” In Egitto era giunto Andrew Pochter, il ragazzo americano che nel pieno delle recenti rivolte egiziane ha ricevuto una coltellata ed è stato ucciso. Stava insegnando l’inglese ai ragazzi egiziani, e scriveva a un giovane di cui era stato tutor: “Ti piacerebbe proprio la lingua araba, dovresti dare un’occhiata!”. Si sentirà fiero di noi, ho pensato allora, di tutti noi che la studiamo e la amiamo, ya shābbātī, ya shubbānī, ragazze mie, ragazzi miei.

Claudia Avolio

Leggete qui la poesia di Gian Piero Stefanoni, dal titolo “Da questo mare” [pdf]