Hürriyet Daily News (17/11/2014). Traduzione e sintesi Carlotta Caldonazzo.
Risolta la scaramuccia sui pedaggi ai camion per il trasporto di merci, la scorsa settimana Iran e Turchia hanno affrontato la questione del prezzo del gas, secondo Ankara da diminuire. Questioni economiche trattate sullo sfondo dei ben più significativi e intricati rapporti tra Turchia, Iran e fazioni curde.
“Possiamo perdere un buon cliente” sostiene l’ambasciatore iraniano in Turchia Ali Reza Bikdeli, “se non accettiamo la richiesta turca di riconsiderare il prezzo del gas”. Ankara compra da Teheran circa il 20% degli idrocarburi che importa e il suo territorio potrebbe essere un ottima porta per futuri gasdotti iraniani verso il mercato europeo, in caso di riduzione o rimozione delle sanzioni internazionali. Dal canto suo Ankara si assicurerebbe un valido approvvigionamento di gas e petrolio e, soprattutto, una riconfigurazione delle relazioni geopolitiche regionali. Forse non è un caso che Hassan Rohani è il primo presidente iraniano ad aver visitato la Turchia.
Di accordi di cooperazione economica con i vicini Ankara ultimamente ne ha firmati diversi e significativi, basti citare quello con l’Azerbaijan (che include un risvolto militare strategico). Tuttavia, in relazione alla spada di Damocle della questione curda i rapporti con l’Iran sono certamente i più forieri di sviluppi interessanti. Tralasciando la rivalità storica per la supremazia nella regione, due anni fa l’allora ministro degli interni turco Idris Naim Sahin aveva accusato Teheran di offrire “supporto logistico al Partito dei lavoratori del Kurdistan” (Pkk). Gli stessi servizi segreti turchi (il Mit, che attualmente conduce i colloqui di pace con il capo del Pkk Abdullah Öcalan nel carcere di Imralı) si dichiaravano consapevoli delle relazioni tra Teheran e il Pkk, che ha la sua base principale sulle montagne del Kandil, per metà in territorio iraniano. Sull’altro fronte si situa invece la cooperazione economica e militare tra Turchia e Regione autonoma del Kurdistan iracheno (Krg). Dopo l’acquisto di petrolio senza passare per Baghdad, Ankara sta per inviare esperti militari ad addestrare i peshmerga curdi nell’uso di armi sofisticate.
Una svolta nei rapporti tra Iran e Pkk, secondo il Mit, si è registrata nel 2011, ma soprattutto quando la rivolta civile in Siria è progressivamente degenerata in guerra civile. Si sarebbe dunque instaurato una sorta di asse tra Iran, Pkk e regime siriano di Bashar al-Assad. Vale la pena osservare che il Pkk è da sempre osteggiato dal Partito Democratico del Kurdistan (Kdp), fondato nel 1946 da Mustafa Barzani e attualmente guidato dal figlio Massoud, presidente del Krg. Lo stesso che di fatto ha fondato e guida il Consiglio nazionale curdo (Knc), che raggruppa le forze politiche curde siriane tranne il Partito di unione democratica (Pyd), ramo siriano del Pkk. Nel 2012 Barzani ha personalmente condotto la mediazione tra Pyd e Knc, conclusasi con l’istituzione della Commissione suprema curda (Ksc) allo scopo di difendere il Kurdistan siriano, in cui sono entrati sia il Pyd che le annesse Unità di difesa popolare (Ypg).
Nonostante l’alleanza difensiva, le discrepanze tra Kdp e Pyd persistono. Anzitutto la maggiore apertura verso Damasco del Pyd, che si è sempre presentato come la terza via tra regime siriano e opposizione islamica. Inoltre Teheran, alleato storico di Assad come alternativa all’eventualità di un governo islamico sunnita, intrattiene relazioni amichevoli anche con il Pyd, preferendolo sicuramente al Kdp di Barzani, il cui rapporto con il governo centrale di Baghdad (sulla cui leadership Teheran ha un ascendente notevole) è piuttosto ambiguo. Le relazioni con Baghdad e Damasco d’altronde non devono essere del tutto insignificanti, se già nel 1975 sono state tra i motivi della scissione dal Kdp dell’Unione patriottica del Kurdistan (Puk, tra i cui fondatori spiccano l’attuale presidente della repubblica iracheno Fuad Masum e il suo predecessore Jalal Talabani).
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