Editoriale. The Daily Star Lebanon (11/10/2014). Traduzione e sintesi di Omar Bonetti.
Lo scorso venerdì, il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan ha fatto voto di impegnarsi fino in fondo nel processo di pace tra il suo Stato e i curdi. Nonostante questa promessa sia ammirevole, le parole di Erdoğan non sono coerenti con quello che sta accadendo in Siria, oltre il confine meridionale turco, nella città curda di Kobane (Ain al-Arab, in arabo), che da diversi giorni è sotto la feroce morsa di Daish (conosciuto in Occidente come ISIS).
Inoltre, Ankara ha accompagnato le dichiarazioni del suo presidente insieme alla richiesta, rivolta a Obama, di presentare un piano che includa la caduta del regime di Assad, qualora la coalizione anti-Daish desideri ricevere anche l’aiuto della Turchia.
Anche se la Turchia ha il pieno diritto di decidere che un intervento militare unilaterale in Siria non rientri nei suoi interessi, Erdoğan (e il suo Stato) sta già affrontando le conseguenze delle sue dichiarazioni. Nello specifico, molte città turche sono state il teatro della rabbia dei partner curdi per l’inettitudine della Turchia nei confronti di Kobane.
Erdoğan è riluttante a prestare aiuto ai curdi siriani, ma ci sono ovvie (e negative) ripercussioni quando questo genere di politiche viene perseguito ciecamente, senza alcun riguardo per il massacro che potrebbe aver luogo.
Nel frattempo, il presidente turco ha iniziato a far affidamento sul “gioco delle colpe”, affermando che “i criminali e i terroristi” stanno cercando di minare i negoziati di pace turco-curdi. In definitiva, può darsi che questo tipo di retorica vada bene per la rosa di politici vicini alla Fratellanza, ma non per nessun altro. Questa strategia verso Kobane potrebbe produrre il cambiamento della vecchia politica di Ankara dello “zero conflitto” in una nuova, quella “zero logica”.
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