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Algeria: nazionalismo o nazione?

Le Matin dz (03/12/2012). Traduzione Carlotta Caldonazzo

L’ennesima parodia elettorale si è svolta sotto gli sguardi indifferenti di tutti. Il suffragio universale nell’Algeria di Bouteflika e dei militari è una mera formalità: le elezioni non sono che una tecnica sofisticata che ha come unico scopo rimpastare lo scenario politico in funzione di rapporti di forza tra fazioni che si contendono il potere e il controllo degli idrocarburi. In mancanza di uno spazio pubblico democratico, il confronto su idee e progetti rasenta il chimerico o il grottesco, mentre il concetto di res publica mal si adatta a un contesto che brulica di corruzione, irresponsabilità e menefreghismo ai massimi livelli. Missione impossibile dunque per quei pochi che hanno della politica un sentimento elevato, quello di servire l’interesse comune. Oggi questi cittadini hanno perso la speranza vedendo il paese sprofondare nel caos. Il che rende un dovere morale e civico resistere e continuare a praticare attività di pedagogia denunciando gli inganni del potere e di quelli che, opposizione compresa, li alimentano in modo più o meno consapevole.

L’Algeria è in pericolo. Questo il nuovo motto dell’opposizione per giustificare il suo ruolo di idiota utile al sistema. Salvaguardare il paese dalle mire neo-imperiali può essere un fine nobile, come lo è stato durante la guerra di liberazione, nel 1954. Ogni patriota ha il dovere di mettere l’interesse nazionale al di sopra di qualsiasi altra considerazione, soprattutto in momenti difficili. Ciò significa al contempo respingere la logica degli interessi di clan, di tribù e dei particolarismi regionali. Significa denunciare la deriva delle istituzioni, divenute il campo di gioco preferito di impostori, arrivisti senza scrupoli, affaristi corrotti, vecchi e nuovi boss simulacri di Rasputin, senza credo né legge, che anzi le leggi le fanno e le disfanno e terrorizzano i dirigenti più onesti. Rifiutare ogni compromesso con il vecchio primo ministro, baluardo di tracotanza, che è arrivato a chiamare in causa il senso dello stato quando non faceva altro che servire i suoi mentori con zelo inaudito.

Servire l’interesse nazionale significa anche sbarazzarsi di un partito la cui missione storica si è conclusa nel 1962 e che oggi serve da scudo al sistema. La sua vittoria programmata con un nuovo colpo di stato intende lasciar credere, soprattutto nel confronto con altri paesi, che si sia raccolto un ampio consenso attorno al potere. Essere patriota significa rifiutare ogni forma di piageria. Ciò di cui non ci si dovrebbe liberare definitivamente è l’Algeria di Bouteflika, dei generali e colonnelli, che piazzano pedine alla guida del paese. Non si tratta di stabilire un nesso tra l’ascesa al trono di Bouteflika e una crisi politica che in realtà affonda le sue radici nell’immediato dopoguerra di liberazione, se non addirittura prima. Certamente la crisi politica è iniziata dopo l’indipendenza, ma l’attuale presidente la ha notevolmente aggravata, consapevole di quello che rappresenta lo “spirito” di una nazione, il “voler vivere insieme”. Accentrando tutte le leve del potere decisionale, strumentalizzando e manipolando i fattori di coesione nazionale, Bouteflika ha lacerato il paese, creando una situazione potenzialmente pericolosa per la sua unità e integrità. Stigmatizzando la regione della Cabilia, rifiutando di far luce sugli avvenimenti della primavera del 2001 e facendone un campo di proliferazione del terrorismo, dei rapimenti e della criminalità per neutralizzarla politicamente, Bouteflika ha fatto il gioco degli estremismi e ha dato adito ai nemici dell’Algeria per strumentalizzare un fattore potenziali di tensione etnica.

Essere patrioti significa evitare di ululare come i lupi ed evitare l’isteria nazionalista di un potere che, paradossalmente, agisce esclusivamente per rinviare ulteriormente l’obiettivo urgente di costruire un consenso nazionale democratico che permetta al nostro paese di resistere con maggior tenacia alla dinamica infernale del capitalismo finanziario mondiale. Non c’è nulla di storico se non la volontà del popolo algerino di esercitare la propria sovranità, tuonava Hocine Ait Ahmed. In altri termini solo la volontà popolare costituisce veramente il fondamento della nazione. La storia delle lingue, delle religioni, delle tradizioni può esserne al massimo il nutrimento. Dall’epoca dell’indipendenza il potere non ha fatto altro che andar contro la volontà popolare. Per contrastare questo meccanismo è nato appunto il movimento di resistenza democratica, avviato dal Fronte delle forze socialiste nel 1963 e che oggi rinnega le sue radici politiche in nome di un realismo politico frainteso e della collusione ambigua con il clan di Oujda. La politica, è vero, è rapporto di forza e bisogna affrontare la realtà per quello che è: una terribile regressione morale, politica e civile. Quando l’etica delle responsabilità si disinteressa dell’etica della convinzione degenera in un opportunismo che nel disastro attuale rasenta l’immoralità.

L’Algeria è davvero in pericolo, nel mirino di chi non ha digerito il processo di liberazione e di chi cova brama di risorse energetiche. La sacralizzazione autoritaria e bellicosa dell’Algeria davanti al processo imperiale di ridefinizione strategica è impossibile con l’attuale sistema al potere. Lo sarà ancora meno nel neo-boumediènismo che i potenti cercheranno di mettere in piazza al momento della successione del 2014. Definendo l’Algeria un’eccezione rispetto al movimento “rivoluzionario” chiamato abusivamente “primavera araba”, il potere prepara l’irreparabile condannando il paese all’inerzia. Il nostro paese non sfuggirà alle strategie mondiali e regionali di ristrutturazione. Per le potenze occidentali, Usa e Francia tanto per citare alcuni esempi, si tratta solo di una questione di opportunità e di priorità. La crisi in Mali e l’intervento militare che si paventa fa parte dell’impresa neocoloniale che rischia di incendiare tutta la regione e non potrà che avere ripercussioni negative su un’Algeria indebolita. I rinvii, le contraddizioni talvolta al limite del ridicolo che passano per capolavori di ambiguità del ministro degli esteri denotano l’incapacità del potere a conferire chiarezza e soprattutto credibilità alla linea ufficiale. Incoerenze che dunque rivelano le perversioni di un sistema che si auto-esime dal rispetto delle regole, indebolendo lo stato e destrutturando la società, che sbandiera come evidente la necessità di creare una diplomazia forte dettata da uno stato forte, che gode di un ampio consenso politico, economico e sociale, dinamico.

Indebolito dall’interno, pressato dall’estero, il potere di Algeri si trova al bivio di un dilemma di Corneille: servire dei subappaltatori regionali degli interessi occidentali o accamparsi sui presunti “pilastri” di una dottrina politica ereditata dalla guerra fredda, in contrasto con le esigenze del mondo nuovo. Una falsa alternativa dunque, che non resisterà alla dinamica storica. Come il gioco delle contraddizioni tra le potenze occidentali oggi evocherebbe un mero fantasma. L’unica prospettiva per i patrioti ansiosi di proteggere il paese combattendo un isolamento pericoloso è riprendere il più presto possibile il sogno dei pionieri dei movimenti indipendentisti che hanno dato prova di grande lucidità e di capacità di analisi a lungo termine. Secondo questi movimenti la decolonizzazione era impossibile senza la costruzione di un Maghreb libero e democratico, un grande ideale che conferisce senso a un’autentica politica da potenze regionali, storicamente pertinente perché in linea con le esigenze del  multipolarismo e dei nuovi equilibri mondiali. Ora più che mai gli interessi dell’Algeria possono essere salvaguardati solo all’interno di una dinamica magrebina. Il resto sono solo sofismi.

 

Fonte: http://www.lematindz.net/news/10399-nationalisme-contre-nation-le-paradoxe-algerien.html