Maghreb Medio Oriente News Zoom

La rinascita dei militari arabi

Di Robert Springborg. The Washington Post (05/12/2014). Traduzione e sintesi di Angela Ilaria Antoniello.

I sollevamenti arabi e le reazioni che ne sono scaturite hanno portato ad una profonda militarizzazione del mondo arabo. In alcune repubbliche, questa ha preso la forma della rimilitarizzazione egiziana, di un radicamento del potere dei militari in Algeria e, forse, della preparazione ad un ruolo insolito per l’esercito tunisino. Nelle altre repubbliche, i regimi che sostenevano i militari sono entrati in competizione con le milizie emerse dai movimenti di protesta. Nelle monarchie, le famiglie regnanti hanno consolidato le loro forze armate. Lo hanno fatto in primo luogo per poter fronteggiare ulteriori sconvolgimenti, ma probabilmente anche per intensificare le lotte di potere intrafamiliari. Dietro a questa militarizzazione c’è la presenza degli Stati Uniti in varie forme, tra cui quella di fornitore e trainer principale, di gestore di basi autonome e orchestratore di campagne antiterroristiche.

In Egitto la base militare rimane troppo esigua per poterci costruire sopra un nuovo regime. Dopo aver sconfitto i Fratelli Musulmani ed emarginato i  rivoluzionari, Sisi deve invitare nella sua coalizione un attore statali o non statale che servirà a livello politico, economico e amministrativo. In Tunisia i militari hanno essenzialmente custodito l’arena politica in cui le varie forze si sono contese il potere, affrontando contemporaneamente degli elementi jihadisti. In Algeria non c’è stata una primavera araba a sfidare il governo militare indiretto, così le forze armate hanno potuto ribadire la centralità del loro potere.

Nelle altre repubbliche i militari si sono frammentati e la rinascita del potere coercitivo si è manifestato soprattutto nelle milizie. È il caso della Libia, dove ciò che è rimasto dell’esercito sta cercando di mettere in scena una rimonta sotto il Gen. Khalifa Hifter che deve, però, affrontare la dura opposizione di Ansar al-Sharia e di altre milizie costituite su base tribale o regionale. Una situazione simile si registra anche in Siria e in Yemen. In entrambi i paesi l’esercito nazionale è stato scisso in milizie guidate da alleati presidenziali legati a lui per motivi di parentela, tribù o setta.

L’esercito iracheno, obiettivo degli sforzi americani, sembrava essere una struttura piuttosto robusta e lo strumento principale attraverso il quale l’ex primo ministro Nouri al-Maliki avrebbe potuto imporre il controllo sul Paese. Il suo crollo nello scontro con le milizie tribali sunnite e Daish, però, ha rivelato quanto siano fragili le fondamenta che uno stato settario dà al suo esercito nazionale.

Nelle monarchie, al contrario, il potere è stato tenuto dalle famiglie dominanti. A prima vista il potere reale appare indisturbato dalle rivoluzioni. Tuttavia, ci sono indicazioni di quello che potrebbe essere un passaggio storico di potere dai reali agli ufficiali. Spaventati dagli sconvolgimenti arabi, i reali hanno rafforzato le loro forze armate, non solo ampliandole, ma anche fornendo loro più mezzi e mettendo l’accento sulla dimensione securitaria delle loro politiche nazionali ed estere creando le condizioni per la realizzazione del “Paradosso del sultano” di Max Weber, paradosso per cui la crescente dipendenza del sovrano dalle forze di coercizione risulta nella subordinazione ad esse.

Le strategie adottate hanno portato a collocare i membri delle famiglie regnanti ai vertici militari, gli mantenendo eserciti relativamente piccoli, a controbilanciare le forze armate con i servizi di sicurezza, a dividere l’esercito stesso e a reclutare mercenari. Forse è la fiducia in questo sistema che ha spinto i monarchi chiave del CCG, guidato dai sauditi, a rafforzare le forze armate – propria e altrui – per contrastare i sollevamenti, senza alcun riguardo apparente per le conseguenze del controllo sulle loro forze armate.

Queste e altre misure riflettono un grande cambiamento quantitativo, e forse anche qualitativo nel ruolo degli eserciti monarchici, almeno nel CCG. A loro viene assegnato un ruolo chiave nell’attuazione di un “Termidoro arabo”. D’altronde potrebbe anche essere che i membri di queste famiglie dominanti percepiscano una certa utilità derivante dal controllo di almeno qualche settore dell’esercito nelle lotte per la successione.

I militari monarchici, in altre parole, stanno diventando delle spade a doppio taglio. Sempre più in grado di soggiogare le rivoluzioni a casa propria o dei vicini, sono sempre più trascinati nelle politiche intra-elitarie. Al momento rimangono saldamente sotto il controllo monarchico, ma la loro capacità di alimentare le divisioni all’interno di queste famiglie dominanti e quindi di creare opportunità  di governo per la gente comune, ufficiali o civili, cresce in tandem con le loro dimensioni.

Robert Springborg è Visiting Professor presso la Scuola di Affari Internazionali di Sciences Po a Parigi, dove si occupa, in particolare, di Kuwait.

Vai all’originale