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I bei giorni andati del Libano

Di Joumana Haddad. Now Lebanon (14/04/2014). Traduzione e sintesi di Roberta Papaleo.

Quando si guardano le foto in bianco e nero del proprio Paese negli anni ’60, e si fa il confronto col 21° secolo, e ci sente alquanto confusi perché i vecchi ci appaiono più progressisti e moderni, allora vuol dire che è successo qualcosa di veramente brutto a quel Paese. È il caso del Libano.

Prendete un qualsiasi album di famiglia, guardate le vecchie foto e non potrete non notare che le persone prima erano “diverse”. C’erano più strette di mano, più bikini, più baci candidi, più sorrisi spontanei e, soprattutto, più libertà. Qualcosa è cambiato e non è una novità.

Ma, esattamente, cosa è successo? Quest’austerità  “morale” è stata frutto di una ribellione contro l’oggettificazione del corpo della donna da parte dei media libanesi? Ci piacerebbe pensare che sia così, ma non lo è, specialmente in un Paese dove, fino a ieri, non si poteva comprare un divano che non fosse sponsorizzato da un’allettante figura femminile. Questo moralismo è stato piuttosto una diretta e graduale conseguenza dell’emergere di estremismi religiosi nella regione, con tutto ciò che comporta in termini di libertà sessuale, specialmente nei confronti delle donne. L’ascesa dell’islamismo nel mondo arabo nel suo complesso ha palesemente intaccato il Libano. Altri dicono che è stata una conseguenza della guerra civile, ma mentre entrambi gli argomenti sono validi, nessuno suggerisce un valido rimedio.

Fondamentalmente, siamo rimasti impantanati. La guerra civile, invece di essere finita, ha semplicemente assunto nuove forme; l’attuale marea di islamismo nel mondo arabo non sembra voler finire nell’immediato futuro. E quindi eccoci qua, seppelliti sotto strati di tracci neri, barbe sporche, assurde fatawa, restrizioni ridicole, divieti aberranti, regole sociali preistoriche e fin troppa ignoranza.

Sto dicendo forse che l’indice di evoluzione di un Paese è proporzionale alla quantità di carne femminile che vi viene esposto? Certamente no. Inoltre, per me, la differenza tra una coniglietta di Playboy e una donna con il burqa  è semplicemente “cosmetica” e superficiale. Il mio punto non è affermare che la nudità femminile è uno strumento di emancipazione, ma quello di dichiarare che non c’è possibilità di progresso in un Paese finché i corpi dei suoi cittadini, specialmente delle donne, vengono imprigionati dalla paura, dalle bugie, dalla mancanza di conoscenza, dalla tirannia, dall’ipocrisia, dalla duplicità e da valori religiosi misogini.

Il mio obiettivo è anche quello di affermare che tra l’approccio controproducente delle FEMEN, ad esempio, e la totale cancellazione del corpo femminile in alcuni Paesi arabi (o la sua oggettificazione da parte dei media), esiste un’altra strada verso il progresso. Questa strada prevede che una donna “possieda” il suo corpo, che sia libera di usarlo come ritiene giusto, senza lavaggi del cervello che la spingano a sovraesporlo o a nasconderlo, ma soprattutto senza sentire il bisogno di sfruttarlo per attirare l’attenzione verso una causa in cui lei crede, o di seppellirlo sotto veli soffocanti perché fonte di pensieri peccaminosi.

Dove saremmo oggi se il progresso del Libano, e di altri Paesi del mondo arabo, non fosse stato interrotto? Le cosiddette “rivoluzioni del 21° secolo” hanno aumentato le libertà individuali e civili? Non c’è niente di meno certo e ci sono molte ragioni per pensarla altrimenti, vedendo il mostro dell’islamismo sostituire (comprensibilmente) quello della dittatura su molti livelli.

Possiamo dunque trovare di nuovo una strada per la libertà? Se tutto va bene, sì. Stiamo lottando per essa, contro e nonostante tutto. Una delle regole base della guida è che se metti in folle mentre sei in salita, si inizia ad andare all’indietro. Alcuni di noi desiderano tornare indietro al nostro passato Libano liberale per trovare quel punto perduto nel tempo in cui un futuro completamente diverso era possibile, per poi ricominciare tutto da capo da allora in poi.

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