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Eco del Vietnam in Iraq e Siria

Di Joan Faus. El País (16/11/2014). Traduzione e sintesi di Roberta Papaleo.

Nell’operazione degli Stati Uniti contro Daish (conosciuto in Occidente come ISIS) in Iraq e Siria ritroviamo eco della guerra in Vietnam. Ci sono parallelismi nelle decisioni militari del presidente, nella sua strategia e nelle pressioni del suo entourage. Tuttavia l’obiettivo e il contesto sono molto diversi. Il nemico non è il comunismo, ma il jihad islamico. E oggi la prima potenza mondiale è reticente di fronte alle grandi avventure militari dopo un decennio di guerre in Iraq e Afghanistan, guerre – come quella in Vietnam – lunghe, costose e senza vittoria.

A metà giugno scorso, prima del rapido avanzare di Daish nel Nord dell’Iraq, il presidente Obama inviò 275 soldati a protezione dell’ambasciata di Baghdad e 300 consiglieri militari a sostegno della lotta irachena contro i jihadisti. Dieci giorni fa, il democratico Obama ha autorizzato il dispiegamento di 1.500 militari in più, portando il numero totale a 3.000. Benché nessuno avrà funzione di combattimento, il Pentagono avvisa che potrebbe essere necessario.

Nel maggio 1961, l’allora presidente, il democratico John F. Kennedy, approvò l’invio nel Vietnam del Sud di 400 berretti verdi per addestrare le forze locali contro l’offensiva delle guerriglie del Viet Cong. In quel momento, 800 consiglieri statunitensi erano già in loco, dispiegati una decina di anni prima dal predecessore Dwight D. Eisenhower. Nel giugno 1965, il successore Lyndon Johnson approvò il dispiegamento di 100.000 truppe da combattimento.

Gordon Goldstein, analista in relazioni internazionali, sostiene che i due presidenti Obama e Kennedy condividono “un sentimento di prudenza sui conflitti torbidi, con rischi e e costi poco chiari”. E individua altre similitudini: mentre incrementano il numero di consiglieri, i due presidenti si oppongono fortemente all’invio di truppe da combattimento (sebbene Kennedy non lo dichiarò pubblicamente) e ciò li fa scontrare con i loro alti funzionari militari, che mirano al contrario.

Per quanto riguarda il confronto tra Obama e Johnson, invece, Goldstein crede che il paragone sia più “prematuro e astratto”, ma che comunque i due condividono una “grande sfida: le loro strategie iniziali di intervento non hanno successo e si vedono costretti a improvvisare”. Nel gennaio 1965, quando gli Stati Uniti erano considerati “incastrati” in Vietnam, le opzioni erano le operazioni di combattimento o il ritiro dal Paese. Il mese dopo, Johnson autorizzò i bombardamenti, che durarono tre anni e produssero scarsi effetti. Dopo aver scartato l’idea di un’intervento aereo immediato lo scorso 17 giugno, pochi giorni dopo Obama decide per i bombardamenti sulle postazioni Daish in Iraq, prima, e in Siria, poi, vedendo minacciato il personale americano in loco e temendo il genocidio delle minoranze religiose. I bombardamenti hanno frenato l’avanzata dei jihadisti, ma non li hanno cacciati dai loro feudi.

Secondo Peter J. Crowley, ex portavoce del Dipartimento di Stato americano tra il 2009 e il 2011 e che oggi lavora presso l’Istituto di Diplomazia Pubblica all’Università George Washington, le differenze con il Vietnam “superano” le somiglianze. L’Iraq è più presente: Crowley crede che gli Stati Uniti abbiano imparato le “lezioni importanti” dell’intervento in questo Paese tra il 2003 e il 2011 e che sarà assai reticente del caderci di nuovo. Crowley sottolinea, inoltre, che Daish è “molto meno preparato” del Viet Cong e che, a meno che non si verifichi un attentato jihadista negli USA, Obama non avrà sufficiente “sostegno politico” per inviare truppe da combattimento in Iraq o Siria.

Joan Faus, giornalista spagnolo, scrive per El País da Washington.

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