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Blocco dei media in Egitto: l’audacia dell’ignoranza

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A meno che le autorità non riescano a eliminare internet in Egitto, bloccare i siti di informazione è una mossa teatrale che può fare solo più male che bene

Di Rania al-Malky. Middle East Eye (29/05/2017). Traduzione e sintesi di Roberta Papaleo.

In una mossa senza precedenti, il governo ufficiale ha bloccato 21 siti web per contenuti ritenuti “mendaci” e a sostegno di “terrorismo ed estremismo”. La mossa in sé non è stata una sorpresa. Accuse simili sono state rivolte a migliaia di attivisti e di critici, ora in carcere da mesi, se non anni, senza un regolare processo. La lista dei siti colpiti non è stata pubblicata per intero, ma include Al-Jazeera (già nemica del Cairo dopo la caduta del governo Morsi), Asharq, Masr al Arabia, Al Shaab, Arabi 21, Rassd e Hamas Online.

Tra i principali colpiti anche il sito in arabo e inglese Mada Masr, nonostante non avesse nessuna affiliazione o simpatia per la Fratellanza Musulmana. Ad ogni modo, la sua posizione è apertamente critica nei confronti dell’attuale amministrazione. Lina Atallah, direttrice del sito, ha detto a Reuters che il “blocco” è una chiara prova dell’intenzione delle autorità di “reprimere i media critici con metodi che aggirano la legge”.

Questo è in parte vero, ma dal golpe militare del 2013 c’è un’altra insidiosa strategia in azione. Nel corso degli ultimi anni, lo Stato ha costruito una sua rete di trappole legali e amministrative per mettere a tacere i dissidenti e minacciare i critici. Il governo può, per legge, bloccare l’accesso a un sito internet su ordine del pubblico ministero, del giudice istruttore o del presidente stesso durante lo stato di emergenza – come dichiarato lo scorso 9 aprile dopo l’attacco contro una chiesa cristiana copta durante le celebrazioni pasquali. Tuttavia, bloccare dei siti internet potrebbe aver salvato quelle vite?

Inoltre, l’art. 29 della controversa legge anti-terrorismo – che di fatto è un totale fallimento nella lotta al terrorismo – prevede detenzione fino a 5 anni per chiunque “crei un sito internet per promuovere idee o convinzioni che possano incoraggiare atti terroristici o per diffondere [informazioni] per fuorviare le agenzie di sicurezza o influenzare il corso della giustizia in materia di lotta al terrorismo”. Quest’elasticità nel linguaggio è distintivo della mancanza di etica del governo egiziano quando si tratta di critici.

Non ci sono limiti. In una maniera del tutto orwelliana, il ministro della verità non fa che sputare bugie. L’Egitto di Abdel Fattah al-Sisi ha completamente capovolto la realtà, creando sia le condizioni adatte per il diffondersi del terrorismo, sia le giustificazioni per combatterlo senza alcun rispetto per i diritti umani o civili.

L’immagine surreale che mi viene in mente è quella di Sisi, il re saudita Salman e il presidente americano Trump che inaugurano il Centro per la Lotta all’Ideologia Estremista. Solo chi non ha idea della disastrosa relazione che questi tre uomini hanno con i media non riescono a cogliere l’ironia tragicomica di tre figure che si riuniscono per avviare “un’organizzazione dedicata al monitoraggio della propaganda di Daesh (ISIS), Al-Qaeda e gruppi simili”.

Non è un caso che il blocco del Cairo sia stato annunciato pochi giorni dopo quell’incontro e, in stile del tutto egiziano, è andato troppo oltre. L’idea stessa di bloccare un sito internet al giorno d’oggi è segno dell’ignoranza e dell’egoismo di un capo di Stato che ancora ama crogiolarsi nel concetto di controllo dell’ormai deceduta era nasseriana. Nella peggiore delle ipotesi, questi siti internet pubblicheranno i loro contenuti su Facebook.

Quindi, a meno che l’Egitto non trovi un modo per spegnere del tutto internet, queste mosse teatrali avranno vita breve e faranno più male che bene. Dopotutto, gli eventi del 2011 hanno mostrato che al regime cosa succede quando si impongono dei blocchi alle comunicazioni. La natura deve fare il suo corso.

Rania al-Malky è stata caporedattrice del Daily News Egypt dal 2006 al 2012.

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