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Algeria-Mali: piano di contenimento

El-Watan – El Khabar (8/4/2012). Fonti vicine al governo algerino riferiscono che le autorità stanno elaborando un piano per  chiudere le frontiere con la regione di Azawad, che ha appena proclamato la sua indipendenza, per ragioni di sicurezza. Il piano comprende la fornitura di aiuti umanitari ala popolazione civile, ma alti ufficiali dello stato maggiore e della gendarmeria nazionale si sarebbero già dispiegati nel Sud dell’Algeria. Allertate le divisioni di Tamanrasset e Bechar (al confine con il Mali) e messa a punto di nuove strategie di pattugliamento al confine con la regione di Azawad e il Niger.

Su un altro fronte Algeri sta riflettendo sull’atteggiamento da adottare per liberare i suoi diplomatici rapiti in Mali da gruppi che si sospettano affiliati ad al-qaeda nel Maghreb islamico (Aqmi). La linea del governo algerino in politica estera è sempre stata ispirata alla non ingerenza e all’opposizione a qualsiasi intervento straniero (compreso il proprio) in altri stati sovrani. Quanto al Mali, finora le autorità algerine hanno optato per il dialogo e la soluzione politica. Una linea più volte ribadita dal primo ministro Ahmed Ouyahia, ma che rischia di suscitare polemiche su quello che alcuni definiscono l’ “abbandono” dei diplomatici algerini in mano dei loro rapitori. La vicenda ricorda quella dei funzionari dell’ambasciata algerina in Iraq rapiti e uccisi nel 2005 da al-qaeda. Algeri potrebbe dunque scegliere una strategia di contenimento per evitare di intervenire in un paese con il quale condivide oltre 1000kilometri di frontiere nel deserto, niente affatto  facili da gestire. Un intervento dunque, oltre ad essere in contraddizione con la politica di non ingerenza, potrebbe causare notevoli problemi di sicurezza, anche perché non è scontato che l’esercito algerino abbia i mezzi sufficienti per far fronte a un intervento in pieno deserto. Un dubbio sorge infine in diversi osservatori: l’Algeria potrebbe ricevere richieste di intervento in Mali per conto di potenze straniere, che hanno interesse a impedire che il disastro libico destabilizzi la regione, ma al contempo preferiscono delegare il lavoro sporco.