I Blog di Arabpress News Politica

Superman è arabo

Articolo di Giusy Regina

“Questo mondo (e le donne in esso) non ha bisogno di uomini d’acciaio artificiali. Ha bisogno di uomini veri…con tutte le loro debolezze, insicurezze, passi falsi e punti deboli…Questo mondo non ha bisogno per niente di Superman”.

Con queste parole la scrittrice, poetessa e giornalista libanese Joumana Haddad introduce il suo ultimo libro Superman è arabo. Responsabile della sezione culturale del quotidiano an-Nahar e insegnante all’università libano-americana di Beirut, Joumana è da sempre un’attivista per i diritti delle donne e molto impegnata in tutto ciò che riguarda la difesa delle loro libertà, soprattutto nei confronti degli uomini. Anzi dei superuomini.

Ma chi sono questi Superman? Tra i più famosi e pericolosi Joumana cita, oltre ai terroristi, i dittatori come Osama bin Laden, Saddam Hussein, Muammar Ghaddafi, Hosni Mubarak, Mahmud Ahmadinejad…  Senza dimenticare i padri, i fratelli, i fidanzati, i figli, gli sceicchi, i politici e via dicendo. Il Superman di turno può sembrare bello e forte fuori, ma è marcio dentro: “…confonde mascolinità con machismo, fede con fanatismo, etica con tradizioni superate, bontà con interesse personale, protezione con soffocamento, amore con possesso e forza con dispotismo”.

Eppure, sottolinea l’autrice, se Superman esiste nelle nostre società, sia arabe che occidentali, è anche colpa delle donne che, in origine, li allevano: ”…l’ignoranza delle madri, la superficialità delle fidanzate, la sottomissione delle figlie, il vittimismo delle sorelle, la passività delle mogli, e così via”. Bisogna cambiare a partire proprio dalle donne dunque e, considerando che tutti i cambiamenti iniziano con il desiderio di farlo, alla base di tutto c’è il processo educativo.

Leggendo questo libro, si entra in pieno nell’universo forte e rumoroso dell’autrice, che si batte per l’uguaglianza tra uomini e donne attraverso quella che è la sua arma, l’unica arma che può usare e che sa usare davvero bene, quella delle parole. In ogni parola infatti, in ogni frase, in ogni concetto espresso emerge la sua rabbia, che in modo diretto e sincero ci parla di un mondo a due passi da noi. Il mondo dei paesi arabo-islamici, in cui vige una società di forte stampo patriarcale, che relega le donne in un angolino, coprendole di veli e stereotipi, fino a soffocarle.

Joumana Haddad è una donna arrabbiata dunque, perché, come lei stessa scrive, troppe poche persone lo sono di fronte ad una realtà come quella che descrive. Identificandosi nella terza ondata femminista, spiega che, mentre alcune donne (femministe della vecchia guardia) cancellano gli uomini dalla loro vita, altre, tra cui lei, attraversano gli abissi accompagnate dagli uomini stessi. “Vittimizzare le donne e demonizzare gli uomini è un circolo vizioso”, sottolinea.

Continuando il viaggio nel suo libro, si analizza anche il risvolto poco democratico della Primavera Araba, con le categorie di Superman, machismo e società patriarcale impregnata di moralismo religioso. La scrittrice si chiede infatti come mai gli arabi adesso votino per i partiti islamici (ne sono esempio Tunisia ed Egitto). Beh a quanto parte questi sono riusciti a convincere le masse di essere i gruppi politici di cui ci si può fidare maggiormente, sulla base della convinzione che i musulmani siano concittadini onesti e giusti, che governerebbero secondo i valori dell’Islam.

E anche su questo punto la Haddad si scaglia in modo duro, e condivisibile, contro queste chiusure della società: “ma di quali rivoluzioni moderne stiamo parlando se quei paesi stanno per essere governati secondo valori religiosi?”. La religione, infatti, che lei definisce “un’invenzione”, sarebbe una, se non addirittura la principale, causa del rinforzamento dei modelli patriarcali.  Ma nonostante ciò l’autrice lascia intravedere un barlume speranza: se è vero infatti che quel che viene dopo un dittatore a volte è peggio del dittatore stesso, è pur vero che spodestarne uno è già un timido passo verso il cambiamento.

Libro coraggioso dunque, che esprime non solo un punto di vista, ma una battaglia, un grido che non si placa, una continua volontà di scrivere per battersi per una causa importante. Ma (c’è sempre un ma) spesso, col suo modo di farlo così duramente, appare quasi estremista in quello che dice. Sembra voler combattere la dittatura con la dittatura. Sembra voler fermare un grido, urlando più forte. Certo si tratta di una scelta, narrativa e non. Forse la questione è talmente delicata ed occultata nel mondo arabo che solo scrivendo e parlando in modo a volte violento spera di arrivare anche all’orecchio di chi proprio non vuol sentire.

Ciononostante, le capita che per sostenere le sue tesi nel libro si avvalga di citazioni, brani e frammenti che presi al di fuori del contesto in cui sono stati scritti sembrano avvalorare ciò che dice. Basterebbe invece fornire un contesto, o meglio un “prima” e un “dopo” per conferire a quello che lei prende come prova tutto un altro significato.

Senza dubbio scrivere non è facile. E farlo per portare avanti una battaglia lo è ancor meno. Ma bisognerebbe fornire al lettore i fatti che gli permettano di formarsi un’opinione propria, e non viceversa, perché anche in letteratura l’estremismo può essere fatale, fuorviante e poco democratico.