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Ancora la storia di Nujood, sposa bambina yemenita divorziata a dieci anni

Carlotta Caldonazzo – La visibilità mediatica ha i suoi risvolti curiosi. Oggi, a quattro anni dalle tormentate vicende di Nujood Ali, lo stesso caso viene riportato come notizia fresca di giornata da alcune testate italiane (Adn Kronos TGCOM24 e i quotidiani Il Giornale e La Stampa) e persino arabe (www.emirates247.com). La stampa internazionale lo aveva seguito nel 2008 e la sua autobiografia era stata pubblicata negli Usa nel 2010, accolta dal plauso nientemeno che del Segretario di Stato Hillary Clinton. Il nome della sposa è lo stesso, al pari della trama del suo cammino doloroso dalla casa paterna, a quella del marito fino al tribunale, dove ha inizio la sua liberazione, il divorzio. Inoltre sia il sito emiratese che le testate italiane sopra citate riferiscono che Nujood ha raccontato tutto alla tv libanese LBC, ma da nessuna parte si legge che la registrazione risale al 2008. In questo modo sembra che Nujood abbia vissuto oggi la fine del suo incubo familiare. Possibile che esistano in Yemen due bambine omonime dalle esistenze omologhe? Un detto tribale yemenita sulle spose bambine recita con insolita crudeltà: datemi una bambina di otto anni e io vi posso dare una garanzia per un buon matrimonio. Parafrasando si potrebbe dire: datemi una notizia clamorosa di quattro anni fa e io posso garantire oggi un buon pezzo di riempimento.

La bambina in questione è Nujood Ali, yemenita, originaria di Sana’a, costretta dal padre a sposare a nove anni un uomo di trenta, Faez Ali Thamer. Un caso tutt’altro che raro in Yemen, soprattutto nelle famiglie più numerose, quindi più esposte al crimine della miseria. Nujood infatti ha 15 fratelli e il matrimonio secondo i suoi genitori è una garanzia di sopravvivenza. Per questo motivo la madre ha preferito reprimere il proprio dolore, la consapevolezza almeno intuitiva che sua figlia avrebbe inaugurato la vita matrimoniale con uno stupro. Violenze e maltrattamenti che la bambina ha confidato spesso alla sua famiglia e a quella del marito, senza che nessuno le desse ascolto, troppo preoccupati del disonore che avrebbe comportato un eventuale divorzio. Finché, a circa un anno dal matrimonio, uno zio le consiglia di rivolgersi a un tribunale. Nujood salta sul primo taxi e, entrata nel tribunale della cittadina in cui vive con il marito, chiede di essere ricevuta da un giudice. Un magistrato donna (come nelle migliori società maschiliste i nomi di alcuni mestieri si ottengono con grottesche perifrasi), vedendola da sola le domanda cosa stesse facendo e la bambina risponde di essere lì per chiedere il divorzio. A quel punto la donna commossa decide di prendersi cura di lei e ordina l’arresto del padre e del marito. A perorare la causa della piccola si unisce l’avvocato specializzato in diritti umani Shada Nasser e il divorzio le viene immediatamente accordato. Almeno per Nujood dunque si può parlare di lieto fine, ma in un paese in cui nessuna legge vieta il matrimonio prima della maggiore età di entrambi i coniugi i diritti delle bambine si rimettono alla clemenza della corte.