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Mons. Haddad, il vescovo rivoluzionario di Beirut, è morto

Di Giusy Regina

“Ama il prossimo tuo come te stesso” è il comandamento dei comandamenti per i cristiani, il numero zero su cui si basano gli altri dieci, il significato più intimo del messaggio che Gesù Cristo è venuto a portare al mondo. Ed è anche il modo più diretto per riassumere la vita e la vocazione di Mons. Grégoire Haddad, vescovo della Chiesa greco-cattolica melchita di Beirut.

Venuto a mancare nella notte tra il 23 e il 24 dicembre scorso all’età di 91 anni, Mons. Haddad ha lasciato un segno indelebile nel suo Paese ed un’eredità preziosa a tutti i cristiani nel mondo.

Haddad è nato nel 1924 e fu ordinato nel 1949: in quella occasione scelse il nome di Grégoire (il suo nome di battesimo era Najle). Nonostante sia stato considerato una delle figure religiose più controverse della storia contemporanea del Libano – fu soprannominato anche “il vescovo rosso” – il suo stile di vita era semplice e modesto, sempre rivolto ad aiutare gli altri, i poveri, gli emarginati, gli oppressi. E tutta la sua attività, religiosa e non, è andata in questa direzione.

Negli anni Sessanta ha incontrato Abbé Pierre, fondatore del movimento internazionale Emmaus, il cui motto ispiratore è “la solidarietà non è dare, ma agire contro le ingiustizie” e che raggruppa oggi più di 300 gruppi e comunità in 40 paesi diversi. Mons. Haddad ha così contribuito a fondare l’Oasi della Speranza in Libano, insieme a cristiani e musulmani. Nel 1968 è stato nominato arcivescovo di Beirut e Byblos, una delle cariche più importanti nella comunità melchita: l’arcivescovo, infatti, è secondo solo al Patriarca.

Il suo impegno nel sociale è stato a 360 gradi, unendo opere pratiche e teoriche, rimboccandosi le maniche per aiuti concreti e scrivendo opere di suo pugno.

Durante gli anni della guerra, Mons. Haddad ha creato l’Aep (Association d’entraide professionelle), un’associazione che offriva, e offre ancora, piccoli prestiti ad artigiani, agricoltori e commercianti che le banche avevano escluso dai loro servizi. In una situazione disperata come quella della guerra, che aveva lasciato tante famiglie libanesi nella povertà più totale, l’Aep è stata un’àncora di salvezza, attiva ancora oggi attraverso il microcredito.

Ha istituito inoltre consigli parrocchiali per invogliare la partecipazione dei laici alla vita della Chiesa, ha stabilito un sistema di servizi gratuiti per battesimi, matrimoni e funerali, in cambio di un contributo volontario dei parrocchiani. Tali contributi venivano poi versati in un fondo comune della diocesi e divisi in parti uguali tra parrocchie ricche e povere. 

Numerosi sono stati poi gli articoli di Mons. Haddad scritti e pubblicati sulla rivista Afaq – (Orizzonti) – da lui stesso fondata, e che gli sono costati non pochi problemi. Dopo la pubblicazione dell’articolo Libérer le Christ nel 1974, il sinodo greco-cattolico decise di reagire e intervenire, sentendo minacciata la dottrina della Chiesa. Riunitasi per disquisire sulla questione, dopo tre mesi di studio attento dei suoi scritti, la commissione non trovò nulla di troppo contraddittorio con la dottrina ecclesiastica e passò il faldone al Vaticano. Il verdetto non fu lo stesso e nel 1975 Haddad dovette lasciare i suoi incarichi e fu sostituito da Mons. Habib Bacha.

Eppure, in un Libano presentato da sempre come la terra del dialogo interreligioso per eccellenza, le tante confessioni diverse hanno portato spesso tensioni anche violente: sei comunità cattoliche, quattro ortodosse e una dozzina di protestanti, per quanto riguarda la religione cristiana; per i musulmani, in Libano ci sono sunniti, sciiti, drusi e alauiti.

Mons. Haddad, consapevole della realtà religiosa del suo Paese e contrario al mero proselitismo, ha operato anche affinché cristiani e musulmani cooperassero e si confrontassero, mantenendo però sempre le proprie radici religiose. “Tra musulmani e cristiani, il dialogo religioso, sul piano dei dogmi, non è mai stato avviato. E personalmente penso che mai dovrà essere affrontato con lo scopo di favorire un avvicinamento tra le due religioni. Tutt’al più dovrebbe instaurarsi un’informazione reciproca, affinché i libanesi si conoscano sul piano religioso e accettino la religione di altri concittadini senza alcun giudizio di valore, o confronto, o trionfalismo, o proselitismo”. Queste le parole di Mons. Haddad durante un’intervista a Missioni Oggi a cura di Graziano Zoni. Parole forti, facili da fraintendere forse, ma che volano alto e che mettono al centro l’individuo, il prossimo, inteso come qualsiasi persona che la vita mette accanto ad ognuno, dando la possibilità irripetibile di amare e aiutare.

E non esagero a definirlo un visionario. Basta leggere cosa scrisse nel 2001 sull’integrazione e sugli immigrati, con riferimento proprio alla nostra società italiana: “L’integrazione degli immigrati nella società italiana deve realizzarsi, partendo dalla secolarizzazione del Paese. Musulmani e animisti (o altri) non devono farsi cristiani, ma devono essere degli italiani (spero senza alcuna menzione della loro religione sulla carta d’identità!). Essi hanno diritto alla libertà religiosa, a praticare la loro religione senza alcuna pressione e limitazione da parte della Chiesa e dello Stato. Per quanto concerne la loro cultura e i loro studi, occorrerà assicurare la formazione delle scuole italiane, affinché non si sentano marginalizzati. Ma bisognerebbe anche permettere loro di continuare ad avere accesso alla propria cultura d’origine, per non recidere il legame che li unisce ai loro concittadini”.

 

 

 

 

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