C’è poi Mithqal Alzghair, coreografo di trentadue anni che ha studiato all’Alto istituto di Arti drammatiche di Damasco. Nella sua opera dal titolo “Between revolt and death”, due ballerini sospesi grazie a dei cavi ai polsi si muovono in una lenta, silenziosa danza a mezz’aria. D’un tratto giungono in scena echi di spari, seguiti dalle voci di militanti. I due ballerini si rannicchiano, si abbracciano e pochi secondi dopo uno di loro cade con un tonfo sul palco. “Mi sono chiesto come la danza, che coinvolge il corpo, possa evocare la morte, i corpi inerti che vediamo in tv,” spiega Alzghair, “questo è il mio modo di prendere parte a ciò che sta avvenendo nel mio Paese”.
Dal coreografo e ballerino libanese che ha fondato la BIPOD, Omar Rajeh, giunge un commento su questi artisti: “La cosa bella è che, malgrado le difficoltà, vogliono produrre qualcosa: è vitale che sia loro permesso di esprimersi sul palco”. Altri artisti siriani stanno lavorando come camerieri nei caffè di Harma (Beirut) per sbarcare il lunario. Alcuni usano il proprio talento per vivere, come Bassem al-Sayyed che per tutto lo scorso anno ha disegnato ritratti a carboncino dei passanti di Sidone, la più grande città del Libano meridionale. “Ogni ritratto costa 14 dollari e con quei soldi aiuto la mia famiglia ad Aleppo,” dice oggi, “Disegnare mi fa dimenticare che sono in esilio”.