Dopo le dichiarazioni del Primo Ministro, che hanno suscitato un acceso dibattito interno tra il governo e i difensori dei diritti umani e delle donne, Erdogan è andato addirittura oltre, annunciando un piano di legge da presentare in Parlamento, che equipari la pratica abortiva all’omicidio e che limiti o vieti l’aborto. Allo stato attuale, infatti, per la legge turca l’aborto è permesso se effettuato entro le prime dieci settimane dal concepimento. Il Ministro della Sanità Recep Akdag ha appoggiato l’iniziativa, aggiungendo che lo Stato sarebbe pronto a farsi carico dei bambini nati come frutto di uno stupro.
La nuova campagna di Erdogan è stata vista da molti osservatori come il segnale di inizio della sua personale corsa alla Presidenza della Repubblica. Nel 2014, infatti, i cittadini turchi saranno chiamati per la prima volta ad eleggere direttamente il Capo dello Stato – mentre fino ad ora l’elezione era indiretta ed era prerogativa del Parlamento – il cui mandato è inoltre stato allungato da 5 a 7 anni. Non solo: il fatto che Erdogan abbia usato, come termine di paragone per l’aborto, l’eccidio di Uludere, potrebbe non essere casuale. Allo stesso tempo, infatti, il Primo Ministro riconosce che quell’episodio è stato un atto da condannare apertamente – pur se commesso dallo Stato – e si appella indirettamente ai cittadini del Kurdistan. In tal modo, Erdogan cercherebbe una riconciliazione con la comunità curda e spererebbe in un appoggio da parte di quest’ultima nella battaglia contro l’aborto, confidando nel fatto che tradizionalmente si tratta di una popolazione rurale e conservatrice.
Stefano Maria Torelli