Articolo di Katia Cerratti
Mehdi, malgrado sia malato di Sla, si è visto più volte negare le cure necessarie fino a rischiare di non poter più camminare. Stesso trattamento per Hossein che ha gravi problemi renali. Attualmente sono liberi per motivi di salute ma la pena è sospesa e il loro calvario dunque, non è finito. Un calvario iniziato il 5 ottobre 2013, quando Mehdi, fondatore dell’etichetta musicale underground Barg music insieme al fratello e all’amico Yousef Emadi (anche lui condannato), e distributore di brani di artisti iraniani residenti all’estero, stava lavorando all’album “History of Iran narrated by setar”, un lavoro di ricerca, ispirato alla storia dell’Iran, che alle note del setar aggiunge suoni ambientali registrati in varie zone del paese.
La Barg music è un’etichetta non autorizzata ma più volte i fratelli Rajabian hanno richiesto al Ministero della Cultura e della Guida Islamica, la licenza per poter operare legalmente e puntualmente si sono visti negare l’autorizzazione. Una pratica, questa, che la Repubblica islamica usa per frenare la diffusione di idee liberali attraverso l’arte. Per questo motivo la Barg music è stata costretta a lavorare clandestinamente. Così, quel 5 ottobre 2013, le forze di sicurezza iraniane entrano nello studio di registrazione di Mehdi, confiscano tutti gli hard disk contenenti i brani a cui stava lavorando, chiudono lo studio e bandiscono il suo album. I due fratelli e il loro amico Yosuef Emadi
Dopo l’arresto, Mehdi viene portato in un luogo sconosciuto insieme a Hossein e per 18 giorni i due artisti vengono picchiati e sottoposti a torture e scariche elettriche. Trasferiti nel famigerato carcere di Evin, restano in isolamento per due mesi e vengono liberati nel dicembre 2013 su cauzione, in attesa della sentenza. Nel maggio 2015, vengono convocati dalla 21esima sezione del Tribunale rivoluzionario. Malgrado ribadiscano di essere stati costretti a confessare, vengono ritenuti colpevoli e condannati a sei anni di carcere e al pagamento di 20 milioni di toman (6.600 dollari).
Mehdi ha la sclerosi multipla ma nei primi due mesi di carcere gli vengono negate cure mediche adeguate.
Nel settembre 2016, insieme a Hossein, inizia un drastico sciopero della fame per il diritto ad una seria assistenza medica. All’inizio e alla fine di dicembre 2016, Mehdi viene ricoverato per ben due volte in ospedale. Gli viene concesso un congedo medico temporaneo ma malgrado nel febbraio 2017, una speciale Commissione della Magistratura iraniana, certifichi che Mehdi Rajabian non può essere tenuto in cella perché malato di sclerosi multipla, gli viene comunque negata la libertà. I problemi di salute dei fratelli peggiorano e un altro permesso medico viene concesso a marzo 2017. Il 6 aprile 2017 tornano in carcere. Il 22 giugno 2017, vengono temporaneamente rilasciati su cauzione per motivi di salute ma non è escluso il loro rientro in carcere.
Un calvario dunque, un terribile stillicidio contro il quale, da più parti del mondo, sono state promosse campagne per il rilascio dei due artisti. Amnesty ha promosso la campagna #FreeArtists, Peter Gabriel e Johnny Deep, dopo aver organizzato una petizione internazionale attraverso Amnesty, hanno lanciato una campagna contro la censura dal titolo “Art is not a Crime”, a supporto di Mehdi e di tutti gli artisti iraniani che la subiscono. Ban Ki Moon, l’Alto Commissario per i Diritti Umani, Freemuse, International Campaign for Human Rights, Arterial Network, ArtistSafety.net, the European Composer and Songwriter Alliance, the European Council of Artists, the Index on Censorship, the International Committee for Artists Freedom, l’Observatoire de la liberté de création e PEN International, hanno chiesto alle Autorità iraniane di porre con urgenza l’attenzione su questo caso facendo cadere tutte le accuse nei confronti di Mehdi e Hossein Rajabian e Yousef Emadi. L’associazione internazionale United Sketches , ha lanciato la campagna “Cartoon for freedom”, invitando tutti i fumettisti del mondo a sostenere Mehdi attraverso i loro disegni.
E’ importante che non si spengano i riflettori sul caso di Mehdi e su tanti altri artisti e giornalisti iraniani che da anni non hanno più voce. Lo stessi Mehdi, durante uno dei suoi ricoveri in ospedale scriveva:
“La paura più grande per un artista in prigione è quella di essere dimenticato”.
Noi non dimentichiamo, chi invece ha la memoria corta è il regime iraniano che nel 1975 ha ratificato la Convenzione internazionale sui diritti civili e politici ma continua a trattare gli artisti come assassini.