Dietro a questo premio, secondo l’ente “Yad Vashem”, si nasconde una lunga storia le cui origini risalgono al lontano 1922, quando Helmi, nato a Khartoum da genitori egiziani, si trasferì in Germania, trovando casa a Berlino, per studiare medicina. Una volta completati gli studi, iniziò a lavorare per l’Istituto Robert Koch (che da studi portati avanti nel 2009 è risultato essere “fortemente coinvolto” nel sostenere la medicina eugenetica nazista) dal quale venne espulso perché “non ariano”. Secondo la classificazione razziale dei nazisti, Helmi apparteneva alla “stirpe di Cam”, figlio di Noè, appellativo con cui venivano chiamati gli abitanti del Nord Africa, tra cui gli Egiziani e gli abitanti del Corno d’Africa.
Malgrado fosse tenuto sotto controllo dai nazisti, e fosse consapevole del rischio che correva, Helmi si prodigò nell’aiutare i suoi amici ebrei, dando loro un rifugio e proteggendoli. Quando gli ebrei iniziarono ad essere deportati da Berlino, trovò alla sua amica Anna Boros un posto dove nascondersi fino alla fine della guerra: un gabinetto di cui era proprietario. Ogni volta che il rischio che fosse scoperta aumentava, le trovava un altro nascondiglio. Anna, che dopo la guerra ha cambiato il cognome in “Ghutman” , ha raccontato in seguito che Helmi era un buon amico, che li aiutò a nascondersi nel quartiere “Buch” di Berlino dal 10 marzo del 1942 fino alla fine della guerra nel 1945. Dal 1942 la famiglia perse ogni contatto con il mondo esterno. La Gestapo sapeva che Helmi era il dottore di famiglia e che aveva un gabinetto nel quartiere “Buch” di Berlino. Nelle memorie che Anna ha scritto dopo la guerra, ha raccontato che il dottore è sempre riuscito a eludere gli interrogatori e che l’aveva fatta stare anche da altri suoi amici dai quali era rimasta per molti giorni: l’ aveva presentata come una sua cugina venuta da Dresda. Quando il pericolo si faceva meno pressante, tornava nel gabinetto. “Quest’uomo ha fatto tanto per me e gliene sarò riconoscente a vita”, afferma Anna. Il dottore aiutò anche la madre di Anna, Julie, il patrigno Gerog Wehre e l’anziana nonna Cecilie Rudnik che curò e a cui trovò un posto dove nascondersi per più di un anno a casa di Frieda Szturmann che condivise tutti i suoi pasti con lei.
Quando nel 1944 venne catturato il suocero, la Gestapo lo torturò facendogli ammettere che Helmi aveva aiutato la famiglia e che nascondeva Anna ma lui riuscì a non farla trovare e con un sotterfugio scampò anche alla punizione che gli avrebbero inflitto se non avesse fatto ricorso alla sua inventiva: mostrò una lettera di Anna che diceva che stava da sua zia a Dessau.
Grazie agli sforzi fatti da Helmi quattro membri della famiglia Boros furono risparmiati. Dopo la guerra Helmi emigrò negli Stati Uniti ma non si dimenticò mai di loro. A cavallo tra gli anni ‘50 e i ‘60 scrisse delle lettere al Senato di Berlino, poi recuperate dall’Archivio di Berlino e mostrate all’ente “Yad Vashem” affinché questi episodi dell’Olocausto potessero essere ricordati.