“Gli uomini sono cani, si strusciano fra loro nella miseria, si rotolano nella sporcizia e non sanno come uscirne, passano le giornate stesi nella polvere a leccarsi il pelo e il sesso, pronti a tutto per il pezzo di carne o l’osso marcio che qualcuno vorrà gettargli, e io sono come loro un essere umano quindi un rifiuto immondo schiavo degli istinti, un cane, un cane che morde quando ha paura e cerca le carezze”.
Inizia così “Via dei ladri”, romanzo del francese Mathias Enard, edito in Italia da Rizzoli. Un libro non facile, ruvido, che graffia l’anima del lettore perché racconta una storia di vita senza edulcorazioni, senza abbellimenti, senza protezioni.
Ma l’Europa non sarà quell’Eldorado di cui tanti parlavano a Tangeri. Lakhdar vi ritrova la stessa miseria, le stesse violenze, la stessa umanità degradata che ha lasciato fra i vicoli della sua città, con l’aggravante che in una terra straniera ci si sente più soli e più indifesi che a casa propria.
Pian piano tutte le speranze in un futuro migliore si sgretolano e a Lakhdar non resterà altro da fare che compiere un gesto estremo che, almeno nella sua mente, sarà servito all’umanità, un gesto che gli restituirà la dignità persa nel corso della sua giovane e breve vita.
Le vicende narrate da Enard in questo avvincente romanzo, ci portano dalle atmosfere della Primavera Araba alle lotte degli Indignati spagnoli, in una comunanza di ideali e di battaglie che troppo spesso sfumano nell’indifferenza e nel ritorno allo status quo.
Interessante l’ambientazione tangerina della prima parte del romanzo che richiama alla mente le immagini suscitate dai romanzi di Bowels ambientati nella stessa città: i vizi, il degrado, le miserie umane sono le stesse, gli occhi con i quali le si guarda e l’atteggiamento con cui si vive la città appaiono differenti. La differenza fra chi quel luogo lo ha scelto e chi invece lo ha subito.