Di Ahmad Melhem. Al-Monitor (19/07/2015). Traduzione e sintesi di Claudia Avolio.
Le percosse subite le hanno causato dolori alla mano destra, non riusciva a chiuderla né ad aprirla, aveva male al collo e alla schiena e lividi in tutto il corpo. Eppure, la prigione non ha spezzato il suo spirito. Durante la sua detenzione, Lina ha imparato l’ebraico e a ricamare dalle altre prigioniere. In cambio, lei ha insegnato loro alcuni passi del ballo tradizionale dabke. Dopo due giorni trascorsi in una cella troppo piccola, Lina è stata trasferita nell’ala 2 della prigione di Hasharon, nella quale è stata accolta dalle prigioniere palestinesi. “Mi hanno dato un caloroso benvenuto e dei vestiti al posto di quelli strappati che avevo”, ricorda la ragazza. “Mi hanno offerto del cibo e la fiducia e la forza di cui avevo bisogno”.
Lina descrive l’ala 2 della prigione di Hasharon composta da “6 piccole celle per 22 prigioniere. Le celle sono separate da un piccolo passaggio che conduce alle celle di detenzione delle civili israeliane, che trascorrevano il tempo gridando e insultandoci. Le finestre delle celle sono molto piccole, si distingue a malapena il giorno dalla notte”. “Trascorrevamo gran parte del tempo parlando, imparando a ricamare e leggendo alcuni dei pochi libri disponibili”, dice ancora Lina, ricordando che alla fine di ogni mese arriva un giorno in cui le prigioniere si esibiscono. Lei era sempre entusiasta di ballare una dabke o prendere parte a una performance teatrale.
Questo ha incoraggiato alcune prigioniere a imparare la dabke. Sull’impatto che la prigione ha avuto sulla sua personalità, Lina dice: “Mentre ero in prigione mi mancava tutto ciò che è fuori. In quel momento, ho realizzato cosa significa essere liberi e avere speranza”. Dopo la sua esperienza in prigione, Lina vuole laurearsi in giornalismo e specializzarsi in diritti umani o diritto internazionale per far sentire la voce dei palestinesi oppressi al mondo. In tal senso conclude: “La conquista della mia vita sarà avere l’opportunità di gridare al mondo la voce di anche un solo bambino palestinese che sta soffrendo sotto l’occupazione”.
Ahmad Melhem è un giornalista e fotografo palestinese che vive a Ramallah.
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