Articolo di Giusy Regina.
Non so esattamente cosa mi aspettassi dal Marocco in generale e da Tangeri in particolare quando sono partita. Forse nulla. Forse per la prima volta sono andata in un paese senza leggerne troppo su guide e manuali, senza leggere romanzi di scrittori che hanno vissuto lì, che hanno ambientato lì le loro storie. Senza guardare mille foto che preludessero al mio viaggio.
Quello che non sapevo invece è tutto il resto. La prima cosa che ti accoglie a Tangeri è lo sharqy, il vento che viene da oriente e che soffia quasi incessantemente rendendo la residenza nei mesi più caldi piacevole e rilassante. Non è un vento fastidioso, ma benevolo: ti avvolge in un abbraccio che non fa male, ti fa respirare.
La seconda cosa che offre Tangeri è proprio il respiro. Arrivata lì durante i giorni della ‘aid, la festa che rompe il digiuno segnando la fine ufficiale del mese sacro del Ramadan, sono venuta a conoscenza che insieme a me molte altre persone si erano recate in città: eravamo in totale circa tre milioni. Un delirio, direte voi. Sì e no. Sì, perché tutte quelle persone c’erano davvero, per le strade, nei negozi, al suq, sul lungomare, alla kasbah. No, perché non si ha mai la sensazione di folla soffocante, di aria che manca, di panico. A parte nel suq forse.
La terza cosa che ho scoperto è che Tangeri ha offerto casa, rifugio, lavoro o semplicemente vacanza a molteplici artisti come gli scrittori Paul Bowles (Il tè nel deserto) e Mohammed Choukri (Il pane nudo); Wiston Churchill e i Rolling Stones; Henry Matisse e tanti altri ancora. Perché Tangeri ha effettivamente una forza artistica innata. L’arte è anche sui muri. Basta camminare per le stradine scoscese della kasbah (la rocca della città) per sentire una voglia irrefrenabile di scattare mille foto, foto a qualsiasi cosa, a qualsiasi muro o arco, a qualsiasi porta colorata dipinta o a mosaico che si incontra. Io ho abitato proprio lì, nella kasbah, in alto che più in alto non si può. Tutte le mattine scendendo mi imbattevo nella suggestiva bab al-bahr, ovvero la porta del mare, da cui affacciandosi si può ammirare tutta la stupenda baia dipinta da Matisse. Un panorama che toglie il fiato e dona una sensazione di pace immensa.
A Tangeri viene voglia di scrivere romanzi e poesie, di comporre melodie, di dipingere paesaggi, di provare nuove ricette, di fare teatro e di girare un film, magari un cortometraggio. È come se fossi investito da arte e cultura, anzi da tante culture. Tangeri infatti è forse la città più multiculturale del Marocco: ha visto arrivare e andarsene fenici, romani, visigoti, inglesi, spagnoli e portoghesi, assorbendo un po’ di ogni popolo e della loro cultura. E forse è proprio questo il suo fascino più grande: difficile da classificare ed inquadrare, Tangeri accoglie tutte le culture.
Snodo centrale che collega la Medina alla Ville Nouvelle è Piazza 9 Aprile, meglio conosciuta come Suq Barra o, alla francese, Grand Socco. Ed è proprio in questa
Ma la magia di Tangeri è anche nei posti come il lungomare (La Corniche), il caffè Hafa, la galleria Delacroix (sede nell’istituto culturale francese), l’Istituto culturale italiano (un palazzo elegante e proprietà dello stato italiano dal 1927), il teatro Cervantes, le grotte di Ercole. E poi c’è il porto e il mare e l’oceano e la sabbia dorata. Nella prossima puntata.