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Much Loved: uno scandalo ancor prima di aver visto il film

Much Loved film

Di Abdellah Tourabi. TelQuel (25/05/2015), Traduzione e sintesi di Chiara Cartia.

Truffaut diceva: “Tutti abbiamo due mestieri: il proprio e quello da critico cinematografico”. Questa formula del regista francese è valida anche in Marocco dove in ognuno convive un’anima da specialista del cinema, una da esperto geopolitico, una da professionista dei media e una da imam. Sono quindi bastati quattro brevi spezzoni di “Much loved”, il nuovo film di Nabil Ayouch, perché i social network si riempissero di analisi e di giudizi sulla qualità del film, quando in realtà nessuno l’ha ancora visto. Questo procedimento è più assurdo del criticare un libro sulla base del suo titolo o della sua copertina, o del valutare una canzone ascoltando solo la sua prima nota.

Il dibattito suscitato da questi estratti ci fa capire quali riflessi e pregiudizi emergono nei cittadini marocchini, quando si tratta di parlare di cultura o di arte. Si sente spesso dire in Marocco che un libro, un film, una canzone, debba avere una missione, un messaggio, una funzione sociale. Si chiede all’artista di proporre delle soluzioni ai problemi nazionali, di conformarsi alle norme sociali e di dare un’immagine positiva del Marocco all’estero, neanche fosse un funzionario dell’Ufficio del Turismo. Secondo questa logica, l’artista dovrebbe sacrificare la sua soggettività e il suo proprio immaginario sull’altare dei valori e dell’identità. Una visione moralista nutrita da decenni di propaganda, distillata in seguito dalla sinistra e dal movimento islamista.

Per la sinistra, l’arte deve rispecchiare la realtà del popolo, esprimere le sue sofferenze e dare un messaggio di resistenza e di cambiamento. Un film o un libro non sono più creazioni libere ma un volantino politico dove la bellezza o l’estetica non hanno più posto oppure ne hanno uno secondario.

Secondo gli islamisti, invece, un’opera d’arte dev’essere pia, morale e “pulita”. Una scena di nudità, una parolaccia o una bestemmia sono giudicati come una provocazione e un atto depravato che tolgono prestigio al loro autore. Queste due visioni si sono varcate un passaggio nel subconscio di molti marocchini e sono purtroppo delle costanti nei discorsi quotidiani o quando si parla, appunto, di cinema.

L’arte invece non dovrebbe avere come missione che la bellezza, il divertimento, l’espressione dei sentimenti e del talento dell’autore. L’artista non è né un maestro di scuola né un moralista che mostra la diritta via o fornisce soluzioni ai problemi. Funge da pittore dell’anima e della società, non da medico o guaritore. La sola velleità di un regista o di un romanziere è estetica e creatrice e non morale o politica. Cosa sarebbe la cultura senza la perversione di Sade, l’erotismo delle Mille e una notte, la radicalità provocante di Pasolini, l’immaginario sessuale travagliato di Dalì, le parole crude di Mohamed Chouckri, così come tutte le opere scomode e sovversive che hanno costellato la storia della creazione artistica? Oscar Wilde affermava: “Non esiste un libro morale o immorale ma un libro scritto bene o scritto male”. Ed è la sola regola che valga per giudicare un’opera. L’unica.

Abdellah Tourabi è un giornalista e ricercatore marocchino

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