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Marocco: crisi politica e soluzione costituzionale

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Di Ihsan al-Hafzi. Hespress (17/03/2017). Traduzione e sintesi di Veronica D’Agostino.

Alla soluzione politica, il re Mohammad VI ha preferito quella costituzionale per risolvere la crisi di governo che dura da 5 mesi. La notizia della Corte Reale è arrivata in modo decisivo: lasciare che il Partito Giustizia e Sviluppo (PJD) proponga una nuova figura in grado di riformulare il governo. La soluzione costituzionale è giunta in un comunicato nel quale il re ha rispettato il corretto funzionamento delle istituzioni per superare l’attuale situazione di “immobilismo”.

Questa crisi però, aveva già iniziato ad essere “metodologica” prima ancora di diventare “politica”. Inizialmente, il primo ministro Benkirane aveva tentato di designare i suoi vecchi alleati del Partito Raggruppamento Nazionale degli Indipendenti (RNI), affermando che egli era a favore della maggioranza e che attendeva solo la presa di posizione rispetto alla loro partecipazione o meno. Quando Benkirane si è reso conto che stava negoziando con un blocco politico e non soltanto con un partito, sono state rilasciate delle comunicazioni congiunte e si sono tenuti degli incontri durante i quali a volte egli ha alluso alla possibilità delle rielezioni, e in altre ha richiesto un arbitrato reale. Alla fine nessuna delle due cose sono state prese in considerazione e la crisi metodologica si è trasformata in una crisi politica senza precedenti. L’opzione dell’arbitrato reale è stata eliminata poiché il re ha intenzione di rispettare i risultati delle elezioni legislative, dando a queste un valore politico e consacrando così il principio metodologico-democratico: per questo motivo la nuova persona è scelta dal PJD.

La complessità del percorso di formazione del governo è data dal fatto che in Marocco le elezioni non sono sufficienti a formare il governo poiché queste non riescono a raggiungere la maggioranza numerica di un solo partito, in quanto la natura del sistema elettorale marocchino non lo consente; gli stessi emendamenti sulla legge elettorale hanno aumentato la difficoltà del compito abbassando la soglia dei voti necessari a vincere un seggio elettorale dal 6% al 3% soltanto.

Inoltre, nei cinque anni con a capo il PJD non c’è mai stata intesa con il governo precedente. La fase di governo degli islamisti è stata caratterizzata da una perdita di fiducia tra l’islam politico (rappresentato da Benkirane) e la minoranza (rappresentata dal sovrano), questione che ha complicato i rapporti tra le due parti. Nel governo precedente, l’islam politico ha cercato di dissipare il grande equivoco con il re, come ha fatto anche il PJD all’interno del governo.

Così, il primo ministro Benkirane, nonché segretario generale del PJD, ha rinunciato ai propri poteri costituzionali alla presidenza del governo, poiché ciò che contava in quel momento era costruire la fiducia e non solo un equilibrio di poteri. In seguito però, si è scoperto che, con la crisi “dell’immobilismo di governo”, la rinuncia ai poteri non era stata fatta per costruire un rapporto di fiducia con l’autorità reale, bensì per creare, forse, delle intese politiche. Tuttavia la personalità del re e le considerazioni sulla sua legittimità storica non possono essere oggetto di scambio per la ricerca di consenso.

Ihsan al-Hafzi è redattore per Hespress.

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