Dal Blog Hiwar di Giusy Regina.
Un nuovo studio del Pew Research Center mostra che ricchezza e religione sono inversamente proporzionali: i paesi più religiosi sarebbero quelli con un più alto tasso di povertà e viceversa, quelli più ricchi sarebbero più tendenti all’ateismo. Unica eccezione gli Stati Uniti d’America, dove nonostante la ricchezza elevata in termini di PIL, il 54% della popolazione afferma la grande importanza della religione nella propria vita.
Studi psicologici sostengono che le persone che credono in Dio vivano una vita qualitativamente migliore dal punto di vista psico-fisico: la fede implica intrinsecamente orientare quotidianamente la propria vita verso un senso “ultimo”. Questo da una parte rende l’esistenza più lieta e dall’altra permette di affrontare le difficoltà della vita in un’ottica diversa.
Certo è che la fede in Dio aiuta ad affrontare una serie di dubbi e problemi “umani” sia a livello quotidiano che futuro, sia sulla vita dopo la morte. Alcuni credono infatti che la religione sia uno strumento nato per superare proprio la paura della morte. Il fedele in senso lato dovrebbe prendere coscienza della sua impotenza umana ed affidarsi al suo Dio. In poche parole e generalizzando molto, le persone ricche sentono, anche inconsciamente, di essere autosufficienti e di non aver bisogno di un essere superiore a cui chiedere e pregare: tutto quello che voglio ce l’hanno in virtù del Dio denaro. Al contrario chi ha una vita più dura e più problemi da affrontare, ha anche più bisogno di Dio e della religiosità.
Qui scatta la tesi secondo cui le persone povere hanno più “bisogno” della religione perché più fragili e che proprio le difficoltà oggettive che incontrano tutti i giorni le rendono particolarmente attente ad una realtà spirituale che nell’epoca della secolarizzazione si è sgretolata. Questo forse può dimostrare che effettivamente Dio aiuta chi crede in Lui ad affrontare problematiche sia concrete che astratte dandone un senso “altro” che fa vivere meglio.