Il portavoce del movimento, Haroon Zarghoon, ha confermato che l’attentato è stato la risposta al film anti islam. ma già qualche giorno prima a Camp Bastion, a sud di Helmand, sempre per protesta contro lo pseudo film, un gruppo di talebani aveva ucciso 2 membri della Nato e danneggiato aerei e edifici della base. Proteste e scontri tra manifestanti e forze di polizia afgane si sono susseguiti in tutta la città di Kabul. Anche lo scorso anno a Mazar-e-Sharif, otto dipendenti delle Nazioni Unite erano stati uccisi durante le manifestazioni contro il pastore americano Terry Jones che aveva bruciato alcune copie del Corano in Florida e che pare abbia supportato anche il film incriminato. Proteste, odio e sangue in un Afghanistan che sembra non avere il diritto di respirare.
Soraya Parleeka, presidente dell’Unione delle donne afghane, su Afghanistan today ha condannato le violenze affermando che ognuno ha il diritto di manifestare ma che le manifestazioni hanno spesso una propria cultura e dinamica e che quelle che si svolgono in Afghanistan hanno spesso già insita la violenza, che attende soltanto di esplodere. “Queste manifestazioni sono violente e selvagge – dice – e in nessun caso possono essere considerate civili “.
Nello stesso articolo mi colpisce e mi fa riflettere quanto afferma Naeem Nazarim, capo dell’organizzazione Civil Society and Human Rights Network: “Quando in un altro paese gli estremisti offendono i nostri principi e valori religiosi, essi conoscono la nostra debolezza, sanno che possono verificarsi focolai di violenza, e cercano così di dimostrare che i musulmani sono persone violente.”
Impossibile credere che un oltraggio del genere potesse passare inosservato, ma se le vignette più o meno satiriche del settimanale francese Charlie Hebdo hanno ulteriormente infuocato gli animi (solo nelle ultime ore altri 19 morti in Pakistan con centinaia di feriti in tutto il paese), e riacceso il dibattito internazionale sul confine tra libertà d’espressione e pura provocazione tesa a fomentare l’odio e a denigrare il credo religioso, nulla potrà mai giustificare la violenza che va comunque e sempre condannata. E oltre al mistero su cosa e chi diriga la “regia” di questi eventi, c’è un altro pensiero che mi turba e non mi abbandona. Fatima. Perché l’ha fatto? Azzardo una sola, amara risposta. Forse, dentro, Fatima era già morta e sotto quel burqa non restava altro che una non persona uccisa dal maschilismo di una società che annienta femminilità, intelligenza e sentimenti di esseri umani considerati inferiori.
Katia Cerratti