Di Susanne Dickl. Qantara (06/06/2014). Traduzione e sintesi di Claudia Avolio.
In copertina, “Card for Syrian Children”, di Diala Brisly
L’artista siriana Diala Brisly, che ha lasciato la Siria circa un anno fa e ora vive e lavora ad Istanbul, spiega come sebbene siano rimasti pochi artisti in Siria la scena artistica siriana sta fiorendo fuori dal Paese.
I risultati delle elezioni presidenziali tenute in Siria in mezzo alla guerra non sono una conclusione scontata?
E chi dovrebbe votare? La gente muore ogni giorno, vive in case distrutte, in campi profughi. E il governo ne chiede il voto? Dicono alla gente che vive rifugiata in Libano che se non votano per Assad non potranno tornare in Siria: questo non avviene in una democrazia. Non si tratta di vere elezioni, somigliano più a un gioco che non ha nulla a che vedere con la realtà.
Ci sono ancora artisti che lavorano in Siria?
Sì ma sono pochi, e chi fa sentire la propria voce lo fa sotto pseudonimo, perché è troppo pericoloso. Per gran parte dei siriani, l’arte non è più una priorità, ormai è un lusso. Solo nella piccola Kafranbel hanno ancora un teatro e un centro culturale e l’arte viene usata per mandare messaggi all’esterno. Ma fuori dalla Siria è tutta un’altra cosa: lì la scena artistica siriana è anche meglio di prima.
Come mai?
Prima della rivoluzione, non sapevo che ci fossero così tanti artisti nel nostro Paese, non avevamo una rete tra noi. Ora ci incontriamo liberamente e diamo vita alla nostra rivoluzione artistica, non abbiamo più paura di parlare.
Come si è evoluta la scena artistica siriana attraverso l’esilio?
Alla gente manca la Siria, e se prima gli artisti erano spesso influenzati dall’Occidente, ora lo sono per esempio dalla musica tradizionale siriana, che però mescolano al rock, soprattutto ai Pink Floyd – noi li amiamo! Hanno scritto canzoni di rivoluzione. In Libano ora ci sono molti gruppi, concerti e festival che vedono coinvolta la musica siriana.
Dunque ora l’arte siriana è più varia rispetto a com’era prima?
Sì e sarà ancora meglio quando tutto sarà finito. Ci vorrà del tempo, forse anche 10 anni, ma un giorno la pace arriverà. Io credo nei bambini siriani, sono il futuro e costruiranno la Siria, ecco perché lavoro con loro nei campi profughi.
Che attività svolgi coi bambini?
Sto lavorando a un libro illustrato. Inoltre a Beirut ci sarà anche un workshop artistico pensato per i bambini dei campi profughi per aiutarli ad esprimere come si sentono in questa situazione. Sto pensando di trasferirmi proprio a Beirut, con un po’ di amici vorremmo avviare una biblioteca per bambini. Sento che sarei più utile lì che non qui a Istanbul.