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Comunicare la religione: una sfida possibile

15 aprile 2015. Festival Internazionale del Giornalismo, Perugia.

È stata una piacevole sorpresa partecipare ad una conferenza su dialogo e comunicazione interreligiosa ascoltando un ebreo, un cristiano ed un musulmano e trovarmi d’accordo con tutto quello che dicevano. E non perché dicessero tutti le stesse cose ma perché davvero dialogavano tra loro, ognuno consapevole delle proprie idee e dei propri valori, ognuno portatore del suo personale background religioso e culturale. Ma l’atteggiamento gli uni verso gli altri era di apertura e profondo rispetto.

Il dialogo, si sa, è sempre difficile: basti pensare a quello tra moglie e marito, tra genitori e figli. E questo perché ognuno crede che la propria opinione valga più di quella dell’altro. Porsi in una posizione dialogica invece implica uno sforzo che superi la pigrizia; è un esercizio quotidiano, poiché quotidianamente ci confrontiamo con gli altri. E approcciarsi all’altro significa porsi in un certo atteggiamento nei suoi confronti. Ma quando si tratta di dialogo interreligioso, come proponiamo la nostra religione alle altre religioni? Se l’è chiesto Victor Majar, assessore alla cultura dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane (UCEI).

Secondo Majar il punto cruciale sulla questione della tolleranza sta proprio in questo atteggiamento. “I tantissimi anni di guerre di religione ci hanno insegnato che la religione può essere usata per unire (siamo tutti figli dello stesso Dio) o per uccidere. E siamo noi uomini ad usarla per fare del bene o del male”. È quindi forte il pericolo che la religione sfoci nel fanatismo attraverso una manipolazione del messaggio che essa veicola. Quando la manipolazione del messaggio religioso, che ha avuto numerosi artefici nella storia, si unisce alla manipolazione dell’informazione, il mix diventa esplosivo. Il discorso di Majar vuole porre l’accento anche sull’uso improprio e deviante delle parole, nel mondo della comunicazione e non solo. “La sfumatura tra comunicazione e propaganda è minima” dice “e in questo un uso corretto delle parole diventa vitale. La guerra si inizia sempre prima con le parole e poi con le armi”.

Anche l’intervento dell’Imam di Firenze Izzedin Elzir, presidente dell’UCOII (Unione delle Comunità Islamiche d’Italia), è stata un’analisi concreta e puntuale del ruolo della religione e del collegamento con la comunicazione. “Nelle guerre di religione, la religione si usa. Ma bisognerebbe imparare a rispettare l’altro in quanto essere umano innanzitutto. Poi viene tutto il resto”. Secondo Elzir molti problemi in questo campo nascono dalla pretesa di difendere una qualche identità, non comprendendo che l’identità non è una ferita assoluta e statica, ma qualcosa che cambia sempre in ogni persona nel tempo. La sfida più grande secondo l’Imam non è l’integrazione ma l’interazione: “non fare miscugli ma vivere insieme potendo essere ognuno se stesso”.

D’altronde “il mondo è bello perché è vario”, ha detto Mons. Domenico Mogavero, Vescovo di Mazara del Vallo, ricordando che non esiste solo il fondamentalismo islamico o sionista, ma anche quello cristiano. “La verità è Dio sia per i cristiani che per gli ebrei che per i musulmani. È inutile quindi nascondersi dietro atti in nome di una verità altra che nulla ha a che vedere con Dio”.

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