Arabpress

Tripoli: Alawiti contro Sunniti, ma la religione non c’entra

Da Jebel Mohsen a Bab al-Tabbaneh, due aree di Tripoli. La prima a maggioranza alawita, la seconda roccaforte dei sunniti e nello specifico di quanti in questi mesi sostengono la rivolta contro Bashar al-Assad nella vicina Siria. Tripoli è divisa, violentemente divisa. Bab al-Tabbaneh è un’area di Tripoli molto povera, dove circa 150 mila persone vivono sotto la soglia di povertà dove l’estremismo islamico di stampo sunnita non è certamente un fattore nato in seguito alla rivolta siriana. Le manifestazioni per l’arresto di Shadi Mawlawi, estremista islamico e uomo vicino alle rivolte anti-Assad, lo scorso mese ne sono state solo l’ultima dimostrazione e del resto proprio l’area di Tripoli ha dato rifugio ad organizzazioni come Fatah al-Islam e Jund al-Sham.

Gli scontri fra le due anime della città non hanno nulla a che vedere con la religione, ma sono la dimostrazione di quanto difficile possa essere per il Libano gestire la crisi siriana. Alawiti e sunniti si scontrano per questioni totalmente estranee alla pur presente differenza religiosa. Sono questioni politiche, puramente politiche, fra chi è contro o pro Assad. La crisi siriana sta dunque sortendo un effetto di bipolarizzazione sulla politica libanese fra chi sostiene il regime siriano e chi vorrebbe una sua caduta. Lo scenario ricorda, sebbene con modalità differenti, il 2005 ed il clima politico che venne a crearsi dopo l’assassinio di Rafiq Hariri.

Consapevole della difficoltà della situazione, il governo libanese ha disposto l’invio dell’esercito e dopo gli oltre dieci morti di ieri (3 Giugno 2012) sembra essere tornata la calma. La situazione resta tuttavia difficile, tanto che il Ministro della Gioventù e dello Sport Faisal Karami si è detto alquanto scettico definendo la tregua raggiunta come “estremamente fragile”.

Di Marco Di Donato

Exit mobile version