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Israele: nuovi rilevamenti archeologici e la controversia con UNESCO

Gerusalemme palestina

Di Mahmoud Muhii. Youm7 (29/10/2016). Traduzione e sintesi di Maria Antonietta Porto.

Nei giorni scorsi il quotidiano israeliano Haaretz ha reso noti i dubbi di alcuni archeologi israeliani circa l’autenticità di un antico documento in papiro che riporta, per la prima volta in lingua ebraica, la parola “Gerusalemme”.

Il documento era stato trovato quattro anni fa, durante una caccia ai “ladri d’antichità” nel deserto della Giudea, dal Dipartimento delle Antichità di Israele (Israel Antiques Authority) e risale, secondo il professor Shmuel Ahituv della Hebrew University e i dottori Klein Eitan e Amir Ganor del Dipartimento delle Antichità, al VII secolo a.C.

Si tratterebbe di un certificato di spedizione di una tipologia di vino inviata al re dalla città di “Na’arat”, situata nella valle del Giordano, a nord di Gerico. Sarebbe andato perduto insieme alla merce in questione prima di giungere a destinazione. “Se fosse arrivato a Gerusalemme”, secondo Klein, “non si sarebbe conservato a causa del clima umido. Per questo è possibile ipotizzare che il papiro sia rimasto nel deserto”. (Nella fattispecie in una grotta).

Generalmente, gli archeologi diffidano dei reperti archeologici non rinvenuti durante scavi ufficiali, ma questa volta ritengono che il documento sia autentico sulla base di due prove: la datazione al radiocarbonio (carbonio-14), che lo fa risalire a prima degli anni 2500-2800 e l’esame della scrittura, datata al VII secolo a.C.

Il primo ministro Netanyahu ha colto l’occasione per commentare la risoluzione dell’UNESCO che smentisce i legami degli ebrei con il Monte del Tempio dicendo: “Grazie a questo documento oggi abbiamo un’ulteriore prova. Gerusalemme è la parola chiave. È un messaggio dal passato per l’UNESCO, testimonianza del nostro legame con la città, ed è in lingua ebraica”.

Tuttavia perplessità e diffidenze dal mondo accademico, sull’autenticità del documento, non mancano. Il professor Aren Maeir dell’università Bar-Ilan, ha sollevato alcune domande: “Come sappiamo che non si tratta di frode per il mercato dell’antiquariato? O che non sia un escamotage per spianare la strada ad ulteriori documenti che “sbucheranno” in futuro nel mercato dei reperti”?

Ha inoltre aggiunto: “Credo che la datazione al radiocarbonio, come ci insegna il passato, non sia una prova sufficiente. Acquistare in rete fogli antichi di papiro è molto semplice e comune tra i contrabbandieri. Ritengo sia necessaria un’ulteriore analisi, specialmente considerato che è stata l’autorità governativa a occuparsi dell’esame e a garantirne la legittimità. L’autenticità del documento rimarrà in dubbio. Meglio non trarre conclusioni sull’interpretazione storica, astenendosi dall’entusiasmo del momento, diffidando dei media, del Dipartimento e dei politici”.

Dal canto suo Ganor replica: “Abbiamo esaminato minuziosamente il documento, utilizzando le stesse modalità adottate per l’analisi dei Rotoli del Mar Morto. Se qualcuno dovesse conoscere altre modalità, è invitato a farle presenti. Personalmente, sono certo dell’autenticità”.

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