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La guerra all’estremismo sul piano concettuale

estrmismo

Di Abdel Monem Said. Asharq al-Awsat (28/09/2016). Traduzione e sintesi di Emanuele Uboldi.

Le ideologie “fasciste” si basano, in generale, su due aspetti fondamentali. Il primo è la purificazione della persona nel senso di liberarla da tutto ciò che è legato all’intelletto personale, per poi riempirla con una dialettica semplice che la porta a muoversi con la collettività. Questo era il combattente di Sparta, così come quello fascista, comunista, socialista e nazista. Oggi questa persona è il “credente” di Al-Qaeda, di Daesh (ISIS), dei Fratelli Musulmani e simili. Il secondo aspetto è l’idea, soprattutto imperiale, di far propaganda con una gloria futura o dei tempi andati, legata a un “determinismo”: regionale, quando è laica, e religioso, se di rango celeste, come sostengono tutte le confraternite terroristiche. Per questo, il ritorno del califfato si rifà al “paradiso promesso”, la chiave di volta del pensiero terroristico.

Se la guerra al terrorismo fosse fatta anche a livello concettuale, l’ijtihad e il rinnovamento del pensiero religioso diventerebbero una necessità impellente. Questa guerra sarebbe legata a due aspetti: il primo storico-religioso, relativo all’evoluzione dello stato nel mondo islamico, dalla nascita a Mecca e Medina alla morte del califfato, attraverso le diverse fasi. Pur ognuna a sé stante, erano accomunate dal fatto di essere vasti imperi, con punti di forza e debolezze paragonabili. Il secondo aspetto è legato allo Stato arabo-islamico contemporaneo e alle modalità di formazione delle fonti del potere e dell’amministrazione, unitamente ai concetti di Stato susseguitisi dalla caduta dell’Impero ottomano. In relazione a entrambi gli aspetti, l’idea del “califfato” ha acquisito un valore simbolico, che re e pensatori hanno cercato di far rivivere in un modo o nell’altro, ma che ora è diventato uno strumento di militarizzazione e attrazione di elementi estremistici per difendere il sedicente Stato Islamico. L’aspetto storico religioso necessita di ijtihad da parte di ulema e specialisti, sul quale, in ogni caso, già dalla caduta del califfato ottomano negli anni ’20, si è aperta un’aspra controversia. Il secondo aspetto necessita invece di uno sforzo maggiore non solo perché si tratta di un punto cruciale dello Stato contemporaneo, ma anche perché si trova al centro dello scontro tra Stato e terrorismo. Certo è che ci sono altri fattori che si sovrappongono a questo tema: l’analisi richiede maggiore chiarezza.

Pur essendo la porta dell’ijtihad aperta, lo scontro attuale è geograficamente ampio e non ci è dato sapere per quanto si protrarrà. Per questo, una parte importante delle brutali azioni di oggi si basano certamente non solo sulla forza militare ed economica e, per quanto sia in suo potere, è compito della politica costruire alleanze tra le forze regionali e internazionali con interessi in gioco in questo scontro. Per questo, il piano concettuale dello scontro diventa sempre più importante, non solo per ostacolare la militarizzazione tra gli Stati arabi – e il resto del mondo, ma per scuotere le postazioni degli Stati e popoli arabi sotto controllo e governo delle organizzazioni terroristiche.

Abdel Monem Said è amministratore delegato del quotidiano egiziano Al-Masry al-Youm, nonché amministratore delegato e direttore del Centro Regionale di Studi Strategici del Cairo.

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