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Fratelli Musulmani: democratici o nazisti?

nord africa e medio oriente, mappa(Il titolo riprende una domanda che è stata posta dal quotidiano al-Watan al-An a sette intellettuali marocchini e di altri Paesi arabi)

di Abderrahim Ariri e Boujema’a Ashfari (Goud 13/06/2013). Traduzione e sintesi di Claudia Avolio.

C’è un leitmotiv nei cambiamenti vissuti dai sistemi politici nei Paesi della “primavera araba”. Ed è che, chi ha rovesciato la dittatura in Tunisia, Egitto e Libia, e chi ha guidato la battaglia per le modifiche della Costituzione in Marocco, non sono gli islamisti, ma entità civili, politiche, sindacali e giovanili e le reti dei social network. Mentre i fondamentalisti, con le loro divisioni politiche e religiose, sono rimasti nell’ombra a organizzare un piano per arrivare al potere. Questa posizione non è un loro fraintendimento dello scenario politico, ma un elemento costante nell’atteggiamento dei Fratelli Musulmani sin dalla loro origine negli anni ’20 del secolo scorso. La loro percezione dell’azione politica è definita come segue: “attacca e fuggi” è la loro politica, un passo avanti e uno indietro e una tattica dell’avere molte facce, la religione è vista come una moderazione che non crea alterchi verso il sovrano assoluto e nessuno gli si rivolta contro. La grande strategia è l’instaurazione dell’opera atta a raggiungere il potere del califfato islamico da Tangeri a Kuala Lumpur.

Questa rappresentazione condannata all’utilitarismo e all’intelligenza opportunistica è il piano su cui operano le formazioni islamiche in Egitto, Tunisia, a Gaza e in Marocco. E lo stesso è probabile che accadrà domani in Giordania, Algeria e Siria. Come sarebbe accaduto in Yemen senza l’intervento del CGG e degli Stati Uniti, ed in Libia se non ci fosse stata un’alleanza politica civile a frenare l’espansione islamica. Come risultato l’etichetta del movimento arabo recita oggi che la democrazia ha consegnato le chiavi ai fondamentalisti. Ed è un risultato democratico dal momento che nessuno può contestare l’esito delle urne. Ma in questa dinamica politica emergente si pone la questione che, ad aver raccolto i frutti del gioco democratico, non siano i democratici. Intendiamo il movimento fondamentalista che sembra, per mezzo dell’azione democratica, minare le stesse norme democratiche. Sembra una logica della dittatura della minoranza tenendo conto del fatto che tutti i governi fondamentalisti, dal Marocco all’Egitto, non hanno ottenuto la stragrande maggioranza, semmai la maggioranza della minoranza, per via del disperdersi dei voti democratici e modernisti.

In Tunisia l’ascesa del movimento al-Nahda ha portato a un giro di vite sul fenomeno di protesta politica, sulle libertà dei media e sugli emergenti movimenti femminili. Anche sul processo di costruzione costituzionale rimasto a lungo fermo. Chiaro è stato l’ex-primo ministro Hamadi Jebali nel riferirsi al progetto di califfato islamico, prima di ritrattare quanto detto a causa di pressioni da attori politici e sociali. In Egitto è stato chiaro fin dalla prima mossa del capo dei Fratelli Musulmani che si trattava di un colpo contro la rivoluzione, con la rapida adozione di una Costituzione che consolida i poteri autoritari, perseguitando i giudici e usando il pugno duro coi media e soffocando la società civile.

In Marocco i primi esiti del partito al governo Giustizia e Sviluppo sono sembrati tinti di mistero e confusione, una doppia faccia. Prima un passo indietro rispetto alle promesse elettorali a cominciare dal tasso di sviluppo, poi la confusione sul fondo compensativo, e infine la disattivazione (o assenza) dei progetti sanitari o legati ai media, l’occupazione e le grandi opere. Ciò che è peggio è che all’esito vuoto fa il paio una dialettica populistica che segna un atteggiamento opportunistico e chiaro: il partito di Giustizia e Sviluppo è con il re e contro il bene comune, o comunque contro le aspirazioni delle persone che vorrebbero vivere bene e reclamano il diritto alla dignità. Il tutto in un periodo in cui i prezzi sono aumentati e le proteste civili esacerbate, e ha preso corpo un’ondata di licenziamenti di massa.

Ciò che sta accadendo alla democrazia e i colpi che sta ricevendo non sono un’espressione politica: si tratta di un piano tramato dall’opera degli islamisti. E visto che il nostro sguardo è aperto su quanto accade nel mondo, evochiamo esempi forti di colpi inferti al processo elettorale. Lenin non è forse salito al potere col voto per poi trasformare la nazione in un regime totalitario assoluto di cui lo stalinismo è divenuto poi la massima manifestazione? Lo stesso è accaduto in Pakistan e in molte nazioni dell’Africa e dell’America Latina; così in Germania dopo l’avvento del partito socialista tedesco guidato da Adolf Hitler e la sua posizione dominante prima dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale. Hitler ha sovvertito la democrazia e ha stretto la sua presa sulla nazione e sulla gente, trascinando il mondo in una guerra mondiale devastante.

In un programma della Bbc un analista ha criticato la copertina di una rivista americana in cui a Erdogan sono stati messi i baffi di Hitler. L’analista ha sostenuto che, essendo il primo ministro turco stato votato alle elezioni, non può definirsi un dittatore. Anche senza spingersi fin dove si è spinta la rivista, resta il fatto che lo stesso Hitler aveva vinto le elezioni, ma le ha poi sovvertite scegliendo un sistema politico fascista, razzista e inumano. Ciò che è successo a piazza Taksim non è che un titolo nel nuovo capitolo del sovvertimento della democrazia in Turchia. E una protesta contro lo sfruttamento di Erdogan delle elezioni che ha interpretato come licenza a trasformare la Turchia in una base arretrata del movimento della Fratellanza nel mondo islamico. Ricordiamo i fatti con la consapevolezza che la Storia non può ripetere tali livelli di tragedia, ma insistiamo nel chiedere che nell’attuale momento politico vengano prese sul serio le pratiche politiche, e facciamo notare come ci sia qualcuno che vuole convincerci che la democrazia conduce al fascismo.

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