Di Badia Zidane. Al-Hayat (16/02/2014). Traduzione e sintesi di Lia Brigida Marra.
Agli occhi di chi lo visita, Ein Hijleh appare un villaggio come tanti altri: un gruppetto di persone prepara la colazione, un altro irriga gli alberi che vi sono stati piantati, un altro ancora ispeziona le strutture del villaggio, che ha cominciato a brulicare di vita grazie a centinaia di ragazzi e ragazze che inneggiano lo slogan “La Valle è palestinese”, mentre l’occupante progetta nuovi piani per giudaizzare la regione, nota come “la cesta alimentare della Palestina”, e strapparla ai territori palestinesi occupati sin dal 1967.
“Le nostre attività a Ein Hijleh preannunciano un futuro radioso”, afferma Omar Shabbi, gerosolimitano che da giorni risiede nel villaggio. “Ogni notte ci riuniamo in cerchio per ballare la dabka e intonare canti patriottici, soprattutto quelli della prima e della seconda intifada“, aggiunge Omar. E poi spiga: “Non usiamo la violenza, non facciamo altro che tentare di riprenderci un villaggio che era nostro e che, secondo le risoluzioni internazionali, rientra nelle terre dello Stato palestinese. Non ci può essere pace senza la Valle del Giordano e Gerusalemme; non ci può essere pace se ci viene sottratto anche solo un pezzo delle nostre terre occupate: questo è il messaggio che intendiamo mandare da Ein Hijleh al mondo intero, perché veda le pratiche dell’occupazione sulla nostra terra”.
È così che lavorano i ragazzi e le ragazze di Ein Hijleh, di concerto con attivisti solidali e visitatori, per garantire il successo di questa iniziativa che mira non solo a proteggere la Valle del Giordano, ma anche a incarnare un atto di resistenza popolare pacifica.