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Da Algeri a Venezia: “Es Stouh”, le terrazze di Allouache

Terrazze - AllouacheA chiunque sia stato in un paese del Nordafrica non sarà di certo sfuggita l’importanza delle terrazze. E proprio a questo si è ispirato il regista Merzak Allouache nel suo ultimo film  “Es Stouh (Les terrasses)”, presentato alla settantesima edizione del concorso di Venezia appena concluso.

Con un escamotage narrativo ben riuscito, Allouache ci descrive la vita di Algeri, ma solo dall’alto, dalle terrazze appunto e mai dalle strade. Quasi a voler suggerire che ad Algeri si vive sui tetti, ci si innamora sui tetti, si uccide sui tetti, ci si sposa sui tetti, si sogna, si muore, si è pazzi dal quinto o dal sesto piano.

Ripercorrendo i momenti delle cinque preghiere dell’Islam Alloauache ci racconta cinque terrazze, e la vita che lì si consuma.

Raramente nel mondo arabo, e dunque  anche nel film, la terrazza è un luogo di piacere e di riposo. Le terrazze sono vita, vita quotidiana e sebbene sia impossibile per un occhio straniero non rimanere incantati dalla città che si srotola allo sguardo, anche nelle terrazze di Allouache c’è chi delinque, chi le occupa perché non ha una casa, c’è uno zio pazzo legato al guinzaglio e nascosto in una gabbia, chi le affitta ad ore, chi prega, chi prepara una festa di nozze.

In una terrazza però una ragazza e i suoi amici suonano, fanno le prove per un concerto chissà quando chissà dove. La donna di fronte osserva, sbattendo i tappeti, e si innamora della solista. Un amore tragico, inaspettatamente ricambiato, ma pur sempre un amore “dalla terrazza”, e quindi mai consumato.

Allouache, in maniera delicata ma potente, ci invita a non scendere le scale, almeno per quei novantaquattro minuti di pellicola, e a saltare da una terrazza all’altra, come dei gatti.

 

di Valentina Marino

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